‘Lo chiamavano Jeeg Robot’ un film di Gabriele Mainetti.
Quando la ‘poesia’ finisce nella discarica sociale è forse giunto il momento della rinascita culturale di una frangia umana nel compimento del proprio degrado e nello scoramento che l’ha portata alla deflagrazione ultima della propria esistenza ...
Così ci si sente quando seduti comodi in poltrona nell’accogliente sala cinematografica prendiamo visione della surreale pellicola di Gabriele Mainetti, e ci accorgiamo che il cinema italiano, ha finalmente lasciato i vecchi schemi gogliardici per un film d’azione all’altezza della migliore produzione internazionale. E sì, perché finalmente abbiamo compreso, o almeno il regista sembra aver identificato quello ‘sprint’ che l’attualità richiede per stare al passo coi tempi.
Non nuovissimo per originalità, in quanto prende le mosse dalla serie ‘Banlieue’ girata nella periferia di Parigi, pur tuttavia in Jeeg Robot è inserita quella ‘vena poetica’ che i cugini francesi non hanno e che personalmente mi ostino a reclamare in quanto umanità ferita, in ragione di una sensibilità che aggiunge alla pellicola, tutta ‘al negativo’, quel pizzico di ‘positività’ illuminante che tutto accoglie e trasforma, finanche all’interno della discarica sociale, lì dove l’umana presenza ha superato lo stadio di decomposizione per rinascere a nuova vita.
Nel film è la scintilla rigeneratrice di Jeeg Robot (titolo di un famoso cartoon giapponese degli anni ‘80/’90) che, per così dire, ‘riscatta dalla realtà’ Enzo Ceccotti, il protagonista di questa storia surreale, trasformando la sua crudeltà senza ragione in una ‘realtà’ umana e spirituale che s’avvale della maschera, appunto quella di Jeeg Robot che, nell’idealizzazione antropica vince il male.
“Enzo Ceccotti non è nessuno, vive a Tor Bella Monaca e sbarca il lunario con piccoli furti sperando di non essere preso. Un giorno, proprio mentre scappa dalla polizia, si tuffa nel Tevere per nascondersi e cade per errore in un barile di materiale radioattivo. Ne uscirà completamente ricoperto di non si sa cosa, barcollante e mezzo morto. In compenso il giorno dopo però si risveglia dotato di forza e resistenza sovraumane ...
Mentre Enzo scopre cosa gli è successo e cerca di usare i poteri per fare soldi, a Roma c'è una vera lotta per il comando, alcuni clan provenienti da fuori stanno terrorizzando la città con attentati bombaroli e un piccolo pesce intenzionato a farsi strada minaccia la vicina di casa di Enzo, figlia di un suo amico morto da poco. La ragazza ora si è aggrappata a lui ed è così fissata con la serie animata Jeeg Robot da pensare che esista davvero. Tutto sta per esplodere, tutti hanno bisogno di un eroe.” (pres. Mymovies.it)
A momenti violento se non addirittura caustico, il film rottama tutti gli stereotipi generazionali con il cinismo e la crudeltà necessari per ricominciare a 'ragionare' su una nuova formula di società che tiene conto dell'alienazione contratta metropolitana dei perché senza risposta: dell'allontanamento sociale dei giovani dalla realtà, delle differenze di genere, delle classi che vanno abbattute, della segregazione nei ghetti abitativi. Insomma di quella fetta di 'proletariato' stufo di esserlo che reclama di vivere una 'vita' più autentica, magari fantastica, ma nel migliore dei mondi possibili.
Bravi 'a dir poco' gli interpreti, a cominciare dagli straordinari Claudio Santamaria (Enzo Ceccotti / Jeeg Robot), e Luca Marinelli (lo Zingaro), all’eccezionale quanto credibilissima Ilenia Pastorelli, e tutti gli altri come Stefano Ambrogi, Maurizio Tesei impegnati nelle seconde parti e degni di almeno un premio. Non possono qui mancare i miei personali complimenti alla regia (da Oscar) di Gabriele Mainetti, giovane regista, compositore e produttore cinematografico al suo primo lungometraggio, per aver centrato al primo colpo e con maestria, una tematica ostica che, nel suo genere, rapporta il cinema italiano alla grande kermesse internazionale.
Grazie, Gabriele!
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