Pubblicato il 01/04/2021 16:18:21
LA SCELTA
Il gabbiano è andato a posarsi sul pelo dell’acqua a poca distanza dalla battigia. La donna, chinata per afferrare il sacchetto di plastica abbandonato sul lembo di costa, gira la testa per guardarlo. L’animale per un attimo punta il becco nella sua direzione, poi gira il capo a destra e a sinistra e infine si leva in volo. La donna infila il sacchetto sporco di terra nell’altro pieno di cartacce e segue la traiettoria del volatile. Lo sguardo coglie le sagome dei monti ergersi e calarsi nel lago in un perfetto disegno di linee oblique. Osserva la distesa lievemente scagliosa, mossa da una brezza leggera. Non è la prima volta che pensa al mare, a quando l’ha guardato prima dalla costa e poi dalla barca.
-Stai al timone! Prendi il timone – il padre issava la vela- devi sentire il vento! Gli undici metri oscillavano dalla prua alla poppa e tra le battagliole. -Lo senti? Lo senti? L’albero si inclinava. Lei non capiva come doveva tenere la barra. Il padre agganciava la cima e veniva a sedersi accanto. -Devi fare così, così!! Ci vuole un po’ di sensibilità. Era poco più che adolescente e presa da altre urgenze: si sentiva estranea alla passione per la vela anche se il mare le piaceva. Quando lo osservava dalla costa, si percepiva in un viaggio nel mistero. Se lo guardava dalla barca, provava smarrimento e inquietudine. Il padre scuoteva la testa, contraeva i muscoli della mandibola. Non sapeva dialogare con una figlia introversa e con i pensieri altrove. -Mettiti a prua a prendere il sole, allora! Vi si sdraiava se c’era bonaccia. Le piacevano le doghe lustrate. La barca sostava in mezzo alla distesa tra le scaglie iridescenti. Qualche gabbiano si posava sull’estremità dell’albero. Lei rimaneva immobile perché non volasse via. Il padre arrotolava le cime. A volte incrociavano altre barche: c’erano delle ragazze a bordo che stavano in piedi protendendosi da prua. Avevano un piglio elegante e deciso e sembravano andare alla conquista del mondo. Il padre le guardava compiaciuto. Lei si sentiva solo spettatrice. Non aderiva al senso di quel navigare lungo la costa solo per dire che si sapeva come governare una barca. Che era costata fior di quattrini e che doveva fare mostra di sé negli attracchi. Avrebbe preferito un peschereccio. Uno di quei barconi un po’ sgangherati e perennemente stinti dalla salsedine, col motore fragoroso e la puzza di nafta e catrame, che scaricavano sul molo casse di alici e sardine. Lì, la condivisione di uno spazio ristretto, il freddo umido della notte, il beccheggiare, che dava la nausea, trovavano il loro naturale senso in un fine. Il padre non capiva. Per lui era la cosa più bella del mondo ammirare le imbarcazioni ancorate nei porti. Una volta si era seduto su una bitta e le aveva detto: -Guarda quel veliero! Non è meraviglioso!? Sì, era meraviglioso. Lungo, nero, con tre alberi e una polena a prua. Adatto per girarci un film. Non si era fatta prendere da quella passione. Li considerava solo oggetti di lusso appartenenti a ricchi sfaccendati alla ricerca di emozioni: ostentazioni per colmare dei vuoti. Il mare era altra cosa. Era una forza misteriosa della natura. Distesa cangiante che si faceva allegoria dell’esistenza. Amava sedersi a riva, interrogare la massa e le sue onde. Il mare trascinava in un vortice: era vita e morte nel contempo. Sollecitazione e spinta a intraprendere scelte.
La donna ha girato le spalle allo specchio grigio azzurro del lago e ha chiuso il sacchetto con le cartacce per gettarlo nell’immondizia. La gente si sporge dalla ringhiera per osservare la piccola distesa con le sue barche che oscillano nella cala. I proprietari contemplano i loro oggetti e si preparano a governare il timone. Lei, da un po' di tempo, ha concluso il suo rapporto con l'Amministrazione: adesso è un'esile donna con le ossa minute che dedica le giornate a tener pulito un lembo di costa. Quando può si siede negli accenni di spiaggia del lago, guarda la massa azzurra simile a quella del mare, e compie il suo viaggio nel mistero.
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