Pubblicato il 25/12/2020 17:16:18
Titolo del romanzo: Diari sospesi. Breve sinossi Una mancanza di concretizzazione è contenuta nell’enunciazione programmatica del titolo. Tutto il romanzo ne sarà impregnato. Il luogo nel quale la storia si svolge è un circolo di lettura, metafora di un certo modo di essere della società, nella quale tutto sembra stia per concludersi ma, per quanto il non concluso suggerisca e affascini, si sospende a tratti la narrazione, in modo che altri testi, magari solo appena accennati nei titoli (nelle modalità usuali per i circoli di lettura), ne prendano momentaneamente il posto. In tal modo lasciando sottintendere l'esistenza di un mondo parallelo - tanto immaginario quanto desiderato se pure in modo criptato – in grado di fornire un criterio di narrazione sovrapponibile a quello diaristico della storia. STRALCIO Dovevo andare in Santa Caterina per pagare l’affitto di casa. L’androne era lungo e stretto; salii al primo piano. Sul campanello c’era scritto sbilenco il nome Bovieri su un pezzetto di carta da salumiere, ritagliato più o meno a misura. Schiacciai il pulsante ma non sentii lo squillo, mi decisi a bussare con le nocche delle dita. Dopo un po’ Bovieri mi aprì, mi guardò sospettoso, evidentemente non mi aveva riconosciuto. “Sono Glauco Brà, l’inquilino di Fonte di marzo, sono venuto per l’affitto,” gli dissi. “Entri,” rispose, poi: “È in ritardo, e mi deve ancora la pigione del mese scorso.” La stanza puzzava di sporco, le imposte delle finestre erano chiuse e una lampadina appesa al centro del soffitto illuminava debolmente l’ambiente. Su un fornello c’era un pentolino con del brodo che bolliva diffondendo un odore di rancido: un recipiente di smalto sbeccato, blu all’esterno e bianco lattiginoso all’interno. Bovieri recuperò la dentiera affogata in un bicchiere, se la infilò in bocca, armeggiando maldestramente per fissarla, poi restò in attesa. Contò il denaro che gli avevo consegnato, prese un sacchetto di plastica e ne estrasse il resto in banconote da cinquanta e cento lire unte e sdrucite. Facevano un po’ schifo, per questo sperava che gliele lasciassi, immaginai. Le presi e andai via senza salutare; mentre uscivo, mi ricordò di portare l’arretrato la volta successiva. Pioveva ancora. Sotto il portico c’era poca luce, il buio incipiente mi dava meno fastidio dei maleodori stagnanti nella cucina di Bovieri. M’infilai nelle stradine del quartiere agognandone un’oscurità che mi avesse reso invisibile.
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