Pubblicato il 19/12/2020 10:47:00
LA NAVE
“La nave? Gran Dio dov’è la nave?”. Il pensiero di Federico si concentrava su quella domanda capace di riassumere l’apocalissi dell’intera vicenda narrata da Melville. Dov’era la nave che portava gli uomini alla ricerca del più grande capodoglio di tutti gli Oceani? Per la follia di un capo, il Leviatano l’aveva inghiottita e la nave non c’era, non c’era più. L’immagine di Achab che invitava l’equipaggio ad attaccare, nonostante le dimensioni e la forza della balena sovrastassero il Pequod, era fissata nella sua memoria, assieme a quella del mare che si era rinchiuso sul guscio di noce coprendolo come un sudario . Federico doveva riprendere il filo del ricordo di quella lettura e materializzarlo sulla tela. E gli veniva spontaneo accostare la vicenda simbolica a un evento contemporaneo: una distruzione, emblematicamente riassunta nella frase di un testimone che, allo stesso modo dell’equipaggio del Pequod, si era chiesto: “ Le torri, dove sono le torri?”. Quindi, al centro della tela si sarebbe stagliata la sagoma della nave, nera, col fondo piatto di una bara e l’acqua dentro. L’albero maestro avrebbe recato le vele alzate, ma più alta, evocata nella sua essenza, la bocca dell’animale; di fronte alla prua, il richiamo della presenza malefica del mostro: un picchetto sormontato da una maschera ghignante. Intorno, sulla destra, i lasciti dello scontro. Sulla sinistra, invece, la carta divenuta proiettile all’interno degli uffici delle torri. Un sole viola offuscato dal fumo delle fiamme. E ovunque, sempre i segni della distruzione: macerie e macerie. Adesso, però, Federico si chiedeva dove sarebbe andata la sua nave. Dove sarebbe finita la nave in cui viaggiavano gli uomini del suo tempo. Rappresentare in maniera sofisticata istinti primordiali non avrebbe di certo messo al riparo, nel presente e nel futuro, da nefaste volontà.
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