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Una tempesta di parole (suggerimenti accolti)

Poesia

Salvatore Contessini (Biografia)
LietoColle

Recensione di Maurizio Soldini
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Pubblicato il 02/12/2011 12:00:00

Una tempesta di parole trova la sua articolazione in quattro sezioni, nelle quali Salvatore Contessini si misura in un re-lato di suggerimenti accolti scaturiti da un dialogo avvenuto non soltanto nella distanza-vicinanza della pagina scritta e letta, nella vicinanza della parola poetica incarnata nella condivisione di percorsi di poetica con gli altri, ma nei vissuti concreti in cui la sua esistenza si è incontrata con l’esistenza degli altri poeti, con i quali si è visto, ha parlato, si è confrontato, ne ha sentito il re-spiro e il so-spiro. Gli altri sono Diana Battaggia, Corrado Benigni, Giusi Busceti, Luigi Cannillo, Maddalena Capalbi, Fabio Ciofi, Flaminia Cruciani, Fortuna Della Porta, Luca Denti, Francesco Doniselli, Tania Ducoli, Anna Maria Farabbi, Luca Grancini, Corrado Guerrazzi, Stefano Leoni, Giorgio Linguaglossa, Roberto Maggiani, Gianpaolo G. Mastropasqua, Giampiero Neri, Fausto Nicolini, Guido Oldani, Terry Olivi, Rita Pacilio, Gabriele Pepe, Antonio Scardino, Alessandro Sichera, Maurizio Soldini, Marzia Spinelli, Guido Turco, Aky Vetere, Pasquale Vitagliano, Liliana Zinetti. Avere nominato gli altri non è di poco conto, perché se è vero come vero che questa silloge è “un omaggio alla poesia in generale”, è soprattutto un vero e proprio tributo alla singolarità dei poeti presi in considerazione, unici nelle loro persone e con la loro personalità, che si estrinseca nella loro poesia, con la quale Contessini interferisce in una ermeneutica vitale.

La Sezione prima apre la silloge con un titolo che è domandare: Cosa si offre alla vista? A prima vista si dà il nulla. Il vuoto, il silenzio, il culto dell’assenza, dove “la perfezione è stata/ l’istante contraddetto”. Nulla e vuoto nel quale “mi appresto al vortice dell’indolenza/ secondo il turbine spossato/ della reminiscenza spenta”. All’inizio dell’esperienza col mondo si è travolti dalla meraviglia e dallo stupore che bloccano e sgomentano. Cosa si offre alla vista? Davanti alla tempesta degli innumerevoli significanti che ac-cadono nel mondo, l’uomo sembrerebbe colto dal crampo mentale di wittgensteiniana memoria, che rende aporetica la svolta ad un’apertura di significato. Sembrerebbe allora che alla vista non si offra se non il silenzio del vuoto, il nulla, l’insignificanza.

Nella Sezione seconda, Percepire lo “svanire” delle cose, si appalesa come le cose siano evanescenti, così come lo sarebbero le persone, siccome il mondo. Nella percezione del mondo l’uomo prende atto del suo fluire fuggente. Il circolo ermeneutico è il metodo per esorcizzare l’evanescenza. In un vanishing world Contessini si immette nel circolo e interpreta nella com-prensione le parole altre per trasformarle in altro, che a loro volta gli altri hanno la possibilità all’infinito di leggere comprendere trasformare, per eludere proprio lo “svanire delle cose”. Siamo nel gioco dell’alterità che fa della poesia e della lirica una comunità-di-poeti intenti a preservare quello che ci accomuna. E quello che ci accomuna non è sempre logico, chiaro, con-creto nel senso di materico, ma il senso sboccia in una dimensione che è astratta meta-fisica criptica ermetica. Si fa sempre più spazio l’orfismo contessiniano, come in Spazi: “Scrivo,/ scrivo d’intersezioni/ che scorrono la mente,/ di quadri mai dipinti/ coi pennelli, di spazi che modificano tempi./ Lascio che il gioco del pensiero/ si faccia filo in fumo/con linea di percorso verso l’alto,/che il demone del verso astratto/ afferri lo sbocciare/ dei petali del senso./ Così propago vuoto/ per interrare imbuto/ in cui trascino il gorgo/ di ermetici sistemi./ Sole di mondi ignoti/ solo… per scelta.”

La Sezione terza, dal titolo Scivola nel dubbio l’esistenza, si apre con due poesie molto belle e intense impregnate di metafisica musicalità: Itinerari e Impresa. Itinerari: “ La luna confinata/ tra l’eco di un sussurro/ e il tremito di un urlo/ occulta la sua luce clandestina/ oltre i vapori di una notte cruda./ Parole divengono nemiche/ allontanate in circondari avversi,/ il cielo da una coltre avvolto/ sfianca barlumi d’estro/ ed ammonisce gli astri”. Impresa: “Svegliato in un giardino d’ansia/ sul ciglio dell’angoscia del far nulla/ stento ad alzare gli arti contraffatti/ ad ordinare il filo del presagio/ a dissipare il giorno scarcerato/ nella calotta di sfere senza poli./ La luna inarca un cielo stagno/ per scatti a specchi in bianco e nero/ e nuvole che infrangono colore dei metalli”. Il tremito dell’urlo della luna è lo stesso dell’uomo posto nel mondo come in un giardino d’ansia in cui ciglia l’angoscia del far nulla all’esistenza. Ma l’esistenza è anche un esser-ci orientato al dissolvimento del dubbio gnoseologico. Ed è qui che si gioca il progetto di vita e di poesia e di poetica. Non siamo davanti agli assoluti delle certezze moderne. Davanti alla Ragione con la sua violenta imposizione di strade maestre. Siamo davanti alla introflessione nella complessità dell’uomo che oltre alla ragione possiede una irragionevolezza di fondo. Come vive come sperimenta come documenta il poeta questa realtà? Attraverso un linguaggio che spesso tracima nell’ineffabile del significato nella criptica dicitura che spesso a mala pena consente di afferrare il senso concettuale, per il fatto-non-fatto che l’uomo si sfilaccia in vuote lande di vuote parole clamantes in deserto, come in Disabitato tratto: “Appaio come meridiano curvo/ in longitudine di versi vacui/ e sfitta latitudine deserta”. E nel dubbio in cui scivola l’esistenza si apre un varco di senso, si intravede l’essenza: Quel che sono: “Sono una rena con orme incerte/ ed ombre seminate in solchi/ residui di presenze concentrate/ fuori da impegni di coscienza./ La sabbia di un deserto immaginato/ che sfoglia pagine di vento impresso/ passaggio registrato effimero nel segno”. Si delinea il senso di un’esistenza non ontica ma tutta immersa in una ontologia, per quanto non essenzializzata nel significato cartesiano dell’ipostatizzazione della coscienza che può vivere solo nel suo dubbio metodico. Nella post-modernità c’è la necessità di ri-pensare l’essere.

La Sezione quarta, infatti, ha il titolo di Ripensare l’Essere nella sua originarietà. L’assenza il nulla il vuoto l’ombra il buio, contrariamente a quel che si può pensare, rimandano per il nostro poeta, così come per una schiera enorme di filosofi poeti teologi mistici, piuttosto che al non-essere, all’essere, che in questo mondo non si darebbe se non nell’incompletezza nell’angustia nel vuoto nell’ombra e nel limite di una mortalità che sferza la parola ad andare nell’oltre misterico nell’orfico alla ricerca dell’originarietà proprio dell’Essere (come lo scrive il poeta). La discesa agli inferi è salutare in quanto non nega ma afferma l’essere. Il mondo orfico è allora la base fondante della poesia contessiniana. Non ci resta che il canto. Il canto la poesia come originarietà. La poesia, difatti, è fatta di parole, da una tempesta di parole, e noi tutti siamo presi in un vortice che rischia (ma per il poeta ne vale la pena) di farci scendere agli inferi, nel nulla, nell’anti-essere. Scendiamo nel mondo ipogeo del nulla, ma come diceva Hölderlin, “là dove c’è il pericolo, si annida la salvezza”. E la salvezza quale è se non il canto della poesia affidato proprio a quelle parole che ci conducono all’originarietà dell’Essere? Pertanto quella di Contessini, che apparentemente sembra una poesia affidata tutta al significante, è pregna di quella significazione che attualmente si sta riproponendo nel mondo poetico dove regna molto spesso sovrano il minimalismo dei termini. Pertanto non nichilistico il dettato contessiniano, ma essenzialista, per quanto passeggi in un ambiente orficamente ordinato o disordinato che dir si voglia, che apre le porte passando per il niente all’Essere. Metafisico pertanto lo sfondo della poesia di Una tempesta di parole. Ma non la metafisica cartesiana, come dicevo, che assolutizza l’essere, bensì una metafisica dinamica, aperta, in divenire, quasi sofferta, che pur tuttavia tende all’Uno, all’unità, al ricongiungimento, ben rappresentato nelle metafore di Lunazione: “Uscio di luna,/ scendo la tromba/ e penso che t’incontro./ Esco alla notte e/ cerco nel tuo cielo/ l’opalescenza d’aria/ e la mancanza d’acqua/ d’altrui disposizione./ Mezza ti trovo nel tuo ciclo/ e penso al disco unito./ quella che vedo/ è la mia parte amica,/ quella che manca/ metà del cielo a vita”. Una metafisica che passa comunque attraverso il fisico, per quanto affastellato nella frammentazione della dispersione e dell’evanescenza. Una parola che si incarna e che subisce tutte le intemperie della vita come la tempesta che le agita le porta da fuori a dentro in alto e in basso in cielo in terra e sottoterra per catapultarle poi nella verticalizzazione di una ri-nascita che dona vita senso salvezza.

Caratteristica dell’originalità della poesia di Contessini, oltre a tutto quello che fin qui ho detto, e oltre alla cripticità tutta orfica del suo dettato, che volente o nolente si distende sull’onda lunga delle poetiche ermetiche, metafisiche e orfiche, come quelle di Ungaretti, Onofri, Campana, e oltre a una musicalità del verso tutta propria, si coglie come nelle opere precedenti l’assenza degli articoli non solo determinativi ma anche indeterminativi. Come se non solo cose e persone non fossero determinati ma come se ci fosse un’indeterminazione di fondo dell’essere che trova proprio in questa indeterminazione la sua cifra. Questo e non solo troverebbe fondamento in tante tesi della filosofa spagnola  María Zambrano, che ha cercato di dare risposte nuove nella ricerca di un’autenticità perduta per l’uomo, nella sua integralità legata alla totalità ontologica e storica. Infatti la Zambrano critica la filosofia razionalista e lo fa soprattutto con la proposta della sua ragione poetica fondata sui concetti di rinascita e di persona, in una dimensione tutta etica, ma soprattutto metafisica e ontologica, e con una metodologia ermeneutica, nella quale solo la poesia potrà dare una nuova direzione al tentativo di risoluzione delle problematiche esistenziali e culturali. Contessini in fondo cerca di fare tante di queste cose e le fa in questa bella silloge attraverso una metodologia ermeneutica che trova nel circolo del dialogo il senso e la verità dell’esistenza. E con questo modus operandi tocca vette davvero sublimi, come quando entra in dialogo con Roberto Maggiani e con i suoi versi, tratti da Scienza aleatoria: “Luce che passa/ abbaglia scende invade circuisce alimenta/ desta lega disgiunge compara diffonde”, in questo modo, in Oscuramento (che a mo’ di ossimoro è tutto il programma contessiniano): “Colloqui di una sintesi di luce/ tra capolini di colori raffreddati/ ascende lentamente dalla terra/ filo di umori nuovi e di sorgenti gemme”. Ed è proprio la luce, ancora una volta, che fa da contraltare al buio, a cui il poeta tende, nella composizione finale de L’angelo: “Da tanto tempo sogno/ un paio d’ali da poter toccare/ un ambito di luce innaturale/ che mi consenta di volare”. Il senso dell’esistenza per l’uomo sembra essere alla fine quello che si trova nello spiccare il volo alla volta della luce e le ali sognate dal poeta sembrerebbero essere proprio quelle della parola poetica che mette in relazione e consente di comunicare le vibrazioni dell’uomo intero, della persona, corpo e anima, nelle more dell’eternità.



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