Il volumetto racchiude due brevi racconti del premio Nobel (1947): la “Storia di Pierrette” e “Il racconto di Michel”, sino ad oggi inediti in Italia. In realtà più che di racconti veri e propri si tratta di due canovacci sul quale l’autore francese si riprometteva di lavorare per ampliarli sino ad ottenere due racconti, o romanzi, con una struttura tradizionale, che non vennero però mai sviluppati. La forma embrionale che troviamo nell’elegante traduzione di Antonio Castronuovo (che cura anche la nota in appendice) ci permette di notare le idee e gli spunti che Gide si era, per così dire, annotato, una trama sulla quale poi costruire le vicende. La prima rivela la grande attenzione che nei primi anni del Novecento era rivolta alle malattie mentali, alle ossessioni, grazie anche alla neonata teoria della psicoanalisi. Ma nella vicenda della domestica Pierrette è facile anche intuire come da fatti semplici ed innocui si possa creare un mondo a parte, una sorta di creazione fantastica che attinge dal reale per nutrire l’immaginario. In questo breve racconto, in cui si mescolano elementi del vissuto di Gide, una donna crede di smascherare in ogni persona l’artefice di un complotto ordito ai suoi danni, e si dice pronta a sposare chi invece la difende dai misteriosi attacchi, sebbene ella abbia visto questo suo immaginario benefattore giusto un paio di volte. In particolare un innocuo pacchetto pubblicitario inquieta oltre misura la povera donna, che lo vede pieno di minacce alla sua vita. E qui apro una parentesi per una congettura, sarà forse il rimorso di Gide per non aver neanche aperto il plico inviatogli da Proust a pesare sulla coscienza dello scrittore, sino a fargli gettare un’ombra minacciosa sulla sua stessa esistenza – va da sé – artistica?
Il secondo breve racconto narra di una fanciulla e del suo innamorato, il quale reso miope dall’amore e dalla delicata costituzione della fanciulla non riesce a vedere l’abiezione di cui ella è vittima o volontaria fautrice. Anche qui un tema caro alla narrativa dell’epoca, il vizio, la ricerca del peccato che alligna nei bassifondi di Parigi, capace di tentare ragazze dall’aria più innocente. Si legge in filigrana la biografia di Gide, la sua stessa sessualità, capace di dare scandalo, unita all’alternarsi di ricerca spirituale in seno alla religione cattolica e il profondo paganesimo, il suo ambire al sublime unito ad una discutibile promiscuità, unito all’ineffabile “odore del vizio che si rivela essere l’odore del mercurio, usato a quei tempi, per curare la sifilide”. Tuttavia in questo racconto di abiezione, non vi è giudizio, non si trovano accuse legate alla religione o alla cosiddetta “morale corrente”, vi è solo registrata una perdita graduale di dignità, di annullamento del sé, il che potrebbe ricondurre anche questo frammento nel solco psicoanalitico del precedente, una mente che va alla deriva e trova qualunque appiglio per perdersi, Pierrette vive di terrori legati al quotidiano, Marta,la protagonista del racconto di Michel, trova in ogni angolo occasioni per perdersi. Le note finali di Gide a questo secondo canovaccio, lasciano intuire l’andamento della vicenda con una immancabile maternità accompagnata dalla follia della protagonista.
I due racconti sono una gradevole testimonianza del percorso creativo dello scrittore parigino, in quanto sono qui evidenziati i punti cardine delle vicende attraverso i quali è possibile cogliere quali erano i punti chiave su cui Gide avrebbe poi costruito – qualora lo avesse fatto – i suoi romanzi, è facile, nella scrittura ridotta all’osso, leggere i pensieri dell’autore nell’attimo immediatamente precedente alla loro trasformazione da esperienza a letteratura.