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Gesù. L’invenzione del Dio cristiano

Saggio

Paolo Flores d’Arcais
add Editore

Recensione di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 11/11/2011 11:11:00

La chiarezza, pur nella oscura tematica di cui tratta, è da sempre prerogativa di Paolo Flores d’Arcais che fin dal suo primo e illuminante “Etica senza fede” del 1992 che invito a rileggere, s’avvale di una scelta deliberante attorno alla figura di Gesù, in quanto centrale dell’ “invenzione del Dio cristiano”, trasfigurato nell’idealizzazione ecclesiale in “mito” di una religione millenaria che si regge su un qualcosa che – egli dice – non è storicamente accettabile. Relativamente alla storicità del Gesù in quanto messia, profeta ebreo, grande iniziato e quant’altro gli è attribuito, si possono concepire lacune dovute alla inconcludenza dei documenti in nostro possesso a partire dall’inizio dell’era cristiana che, seppure discordanti tra loro, oggi compongono una bibliografia sterminata. Si pensi alle testimonianze raccolte nei Vangeli canonici, a quelli così detti apocrifi, agli ultimi ritrovamenti papirologici di Qumran (Vangelo di Tommaso e altri), e di Nag Hammadi (Vangelo di Giuda), i quali, se da una parte attestano l’esistenza di una diatriba accesa quanto interminabile, dall’altra sono in vero la conferma di un’esistenza consumata che ha determinato il nascere di una religione. E qui l’utilizzo del termine “religione” va necessariamente interpretato nella accezione di “religare”, cioè “unire in una complessa relazione gli elementi emotivamente più significativi che nel mondo interno all’individuo hanno acquisito un significato sacrale” (*). Ora, stando alla determinazione di Flores d’Arcais di abbattere le false ideologie su cui la religione cristiana si basa, prendendosela una prima volta con Karol Wojtyła (Etica senza fede), questa volta con Joseph Ratzinger (Gesù) per la loro anti-storicità, tuttavia comprendiamo la portata di un’azione volta a restituire alla laicità il diritto dell’essere “aconfessionale”, come dire diamo a Cesare quel ch’è di Cesare – come infatti egli scrive: “di una democrazia cui si riconosca la nostra irredimibile finitezza”, lì dove nostra sta per la finitezza secolare dell’esistenza umana. Ciò non toglie al Gesù di cui parla l’autore di essere stato “umano fra gli umani”, credibile al suo tempo per la capacità dottrinale, la volontà di affermare la “visione apocalittica” ch’era già degli antichi profeti, di far parte di una schiera contestatrice all’interno della propria religione secolarizzata quale l’ebraismo, di essere l’iniziatore “iniziato” di una rivoluzione culturale/teologica di un “mistero”, quello della fede, che tutto differenzia e tutto unifica. Gesù non smette di essere chi è lo releghiamo tra noi in qualità di uomo che ha subito un supplizio ingiusto; la stessa Maria madre di Gesù non smette di essere in primis “madre” naturale o no di tutti i suoi figli, anzi tutt’altro, credo che entrambi sarebbero molto più apprezzati oggi se venissero smontati gli altari barocchi della verginità, della cristologia messianica e così via, per lasciare il posto alla vera sacralità della missione umana. Del resto la “verità” sulla nostra esistenza, che tutti da sempre andiamo cercando, si è fin qui dimostrata raggiungibile solo nell’utopia di quanti, studiosi e scienziati, semplici pensatori e umili sognatori, nella visione estatica, a dire più meravigliata che inorridita, dell’intima essenza umana. “La verità è accessibile all’uomo attraverso la religione intesa come iniziazione misterica, differenziata nella forma ma identica nella sostanza in tutti i paesi e in tutte le culture”(**). Una prospettiva questa che dovremmo far nostra, tenendo conto della necessità intima plurimillenaria, riscontrata nell’essere umano fin dall’origine, per far fronte alle sue paure ma anche alla sua estatica meraviglia davanti al creato di cui l’uomo è parte integrante, che se niente non è, almeno non possiamo attribuirlo all’uomo, che anzi l’uomo oggi va distruggendo, pur rendendosi conto di quello che fa. In questo siamo i veri continuatori della parola del Gesù cristiano, o almeno della sua visione apocalittica del mondo, messi al centro d’una religione millenaria che si può anche contestare, creando una diatriba politica sul soggiacere a una Chiesa imperante che s’impone sulla necessità laica di uno Stato sovrano, o di una nazione che si dice “democratica” e poi soggiace alle forzature di una religione stantia e polverosa. Ma questo non è tema da anteporre in sede filosofica, è piuttosto un problema sociale congenito di un sistema malato, difficile ma non “impossibile” da risanare. La denigrazione per anti-storicità di un Papa o di un altro, nulla toglie alla figura di un Cristo che si leva al di sopra delle parti tra i “grandi iniziati” di cui parlava Schuré: “che con i loro insegnamenti e la loro stessa vita hanno lasciato alla storia un messaggio eternamente valido e universalmente accettato”. Il resto è teologico, altra cosa è la fede. È quanto afferma lo stesso Flores d’Arcais: “Altra cosa è la fede, ovviamente, che orgogliosamente Paolo (pseudo apostolo) considerava follia e i cristiani dei primi secoli proclamavano altrettanto orgogliosamente nel “credo quia absurdum”. E cos’è la fede? – mi chiedo – se non un credere, per assurdo che possa sembrare, un “sogno” per definizione individuale che finisce per rivestire importanza decisiva nelle sorti di una comunità, apologia o esaltazione di un comune sentire che supera ogni valico della nostra misera, inaffidabile funzione della nostra mente.
L’impegno di Paolo Floris d’Arcais, pur nella sua eccellente qualità di saggista, non si stacca da quello che è il peso della sua responsabilità di uomo, dal dovere che lo tiene legato alla sua professione politica, al punto che il suo “credo” infine è “fede” che egli professa con la tenacia che gli va riconosciuta, e al quale dobbiamo comunque dire grazie per non aver lasciato cadere nel dimenticatoio una diatriba che si trascina da duemiladodici anni e forse più, che è bene sostenere, affinché nulla vada perduto e si arrivi un giorno a svelare quella “verità” che ci è tolta, per rinfrancarla con quell’umano sentire che appartiene a tutti noi, autore del libro incluso. D’Arcais, va qui ricordato, è direttore di “MicroMega” mensile di etica politica, comunicazione e altra cultura. Le sue pubblicazioni più importanti: “Esistenza e Libertà”, “A partire da Hannah Arendt”, “La rimozione permanente”, “Etica senza fede” e altre.



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