Pubblicato il 19/01/2008
Più che il gusto delle cose in sé, mi piace il gusto che hanno le parole che le contraddistinguono. Prendiamo un filetto di pesce, ecco un filo, piccolo, tenue, che ci lega al mare, se è un filetto di rombo quel suono quasi quadrato, imperfettamente quadrato, ci riporta direttamente al suono del mare; posiamo questo filetto su un tagliere e avremo una zattera che naviga sulle onde della nostra cucina. Scaldiamo un tegame, con un po’ di olio, scivoloso, ma stabile con quel suono breve, ma con quella elle che ci allunga verso qualcos’altro, uniamo il nostro filetto di rombo e rosoliamolo, facciamolo sbocciare come una rosa rosa, ma amiamolo mentre lo fa; con un pizzico di sale il tutto comincia ad ascendere verso un altro sé, che ci rivelerà tra poco. Uniamo del limone tagliato a vivo, in genere tagliare comporta una cessazione, ma in questo caso, porta il frutto a vivere al di fuori di sé, tagliamo cosi tutti gli spicchi, per avere non degli spacchi ma dei picchi, picchi del gusto e della purezza del frutto, lasciamo insaporire… e capperi! Già abbiamo fatto un passo avanti, lasciamo queste imprecazioni, possibilmente di Pantelleria, legare con l’asprezza dei frutti, lasciamo intrecciare tutte queste p e t così aspre fino a farle diventare morbide, magari con l’aiuto di un poco di vino (sarebbe banale invocare un aiuto di-vino). Bagnamo con un po’ di fumetto di pesce, e in questo fumetto scriviamoci qualche battuta: un pizzico di pepe, qualche ramo (col fumetto diventerà da sé un rametto) di aneto che con questa a partitiva iniziale sembra togliere qualcosa ma invece aggiunge un tono di ruscello fra i prati, che ci ricorda un sorriso fugace. Un pomodoro, con quel metallo prezioso che racchiude è troppo importante per questa semplice storiella, togliamogli quindi l’abito lucido di cui è ammantato, diventerà così un po’ modoro, svuotiamolo anche dell’oro dei semi e avremo uno di noi, con poco oro e poche pretese, ma che sa di piacere sempre. Della polpa di questo frutto ormai nostro simile, facciamo dei rombi, sommessi, ma che si sentano, che faranno ottimo contrappunto col rombo del mare. Lasciamo restringere bene il tutto, che sarà armonioso, un po’ troppo, forse, e allora ecco la zizzania: la doppia zeta del prezzemolo, che fa sempre un po’ incespicare, ma fa piacere incontrare in cucina perché getta una manciata di coriandoli color della speranza nelle pignatte. Pronto da servire, ma no, servire è troppo servile, servirsi, ecco, ogni tanto bisogna provare a servire noi stessi con noi stessi, lasciare tutto da parte ed ascoltare il rombo lontano del mare.
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