[ Recensione di Daniele Santoro ]
Estrosa, anticonformista, giocata sul filo del calembour e dell’(auto)ironia fine e dissacrante, eppure amara, talora elegiaca, quest’ultima raccolta poetica di Attolico il cui titolo è già di per sé programmatico, esplicativo. Un libro che ascriveremmo al genere della poesia ludica o comico-realistica e, come tale, assolutamente attento al presente, al quotidiano fino a rivelarci, di là del tono disinvolto e solo apparentemente “pop” o leggero, «il tragico, visto di spalle» che è appunto il comico, secondo la felice definizione di Gérard Genette. Intellettuali, politici, burocrati, personaggi dello spettacolo, gente “comune”, vecchi da «tenerli più in vita perché consumino» sono solo alcuni dei protagonisti, con le loro debolezze e ambizioni, vanità e ipocrisie, di questa grande giostra del mondo che l’autore, novello saltimbanco, ci presenta; un mondo che, causa la globalizzazione, «la grande distribuzione» che «abbatte le tradizioni», il «buco nell’ozono» che «si allarga» e accompagna il fluire degli anni, offre il piglio al poeta romano di ironizzare ogni volta i tempi che corrono, di esorcizzare “il male di vivere”, di inscenare «il “teatro” del sé - scrive Patrizi nella prefazione - del soggetto che fa esperienza del mondo e la descrive» e che attraverso «il confronto disincantato (il vis-à-vis) con l’altro […] come in uno specchio, ci restituisce la nostra immagine».
Nondimeno interessante è il livello formale di questa poesia: l’uso metaforico del lessico è filiazione di un pluralismo di sottocodici, seppure parodizzati, di provenienza varia: economici («addendi», «plusvalore»), scientifici («neuronali», «leptospirosi»), letterari ecc.; un vero e proprio melange lessicale, misto a espressioni gergali, dialettali e di uso comune, a citazioni dotte come in «Ei fu (se fu)» o ancora in questo singolare attacco di leopardiana memoria: «la casalinga che vien dalla campagna / sprovvista di rose e viole». Singolare l’uso della rima, sovente difficile e baciata (scepsi/Pepsi) o assonanzata con effetti fonici suggestivi. Singolari le similitudini, stranianti come nella triade «Erba Gramigna e Malerba» o in quella del poeta «come un asso da stiro» che non sa «mai dove mettersi». Felici certe immagini («gargarismo di Polifemo»), certi “scoop” creativi (alludo all’enigmistico «È l’…» con tanto di soluzione a fine libro), certe chiusure ad effetto («Morire può andar bene / ma non di “Cavaliere”!»).
Trovate ingegnose, insomma, espedienti insoliti che attestano l’estro inventivo del poeta e la resa espressiva di questa poesia al fulmicotone eppure pervasa di malinconico, sofferto sorriso sulle cose del mondo e sulla caducità dell’uomo («il tanto e niente che siamo»), come solo sa essere la poesia di un comico, nella sua accezione più autentica.