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Scrivere poesia. Essere poeti

Saggio

Daniele Giancane
Genesi Editrice

Recensione di Paolo Polvani
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Pubblicato il 19/08/2011 12:00:00

Un libro per gli artigiani della parola

 

Ecco finalmente un libro che possiede molte ragioni per appassionare un poeta o aspirante poeta, quei piccoli artigiani della parola, o volontari del verso, che fanno della scrittura poetica una passione esistenziale.

La prima ragione: è scritto in modo chiaro, comprensibile, e questo non può che essere motivo di rallegramento per i cultori della poesia, che aspirano a percorrere le strade dell’approfondimento teorico, vorrebbero ampliare il discorso, ma spesso vengono respinti da un linguaggio indecifrabile, oscuro, si direbbe cifrato, per pochi addetti.

C’è una frase di Borges, tratta dalle lezioni americane sulla poesia, a questo proposito illuminante: - Ogni volta che mi sono immerso nei testi di estetica, ho avuto la sgradevole impressione di leggere le opere di astronomi che non avessero mai osservato le stelle. Voglio dire che si trattava di scritti sulla poesia come se la poesia fosse un dovere, e non quello che in realtà è: una passione e una gioia -

Certamente il motivo di questa prima ragione si deve all’autore, Daniele Giancane, che della poesia ha fatto una passione e una gioia. Sono infatti più di quaranta anni che si occupa di poesia in maniera attiva, essendo contemporaneamente poeta, editore, direttore di una rivista di poesia, critico, saggista, docente universitario di Letteratura per l’infanzia, e soprattutto animatore culturale.

Seconda ragione: fornisce validi motivi agli appartenenti alla categoria di cui sopra, poeti, aspiranti tali, piccoli artigiani della parola, per non cedere allo sgomento, non cadere in depressione, ma anzi trovare un elenco pressoché completo di argomenti a favore della umile e solitaria attività scrittoria.

 

Uno: poesia è guardarsi dentro; in una società della frenesia e della superficialità in cui domina il culto dell’immagine, della esteriorità, della diffidenza e della indifferenza verso tutto ciò che è fine, spirituale, impegnato, mi pare che si debba andare controcorrente e invece esaltare i valori dell’entrare in se stessi, della forza della meditazione, della lentezza che aiuta a star bene con se stessi.

 

Due: poesia è osservare il mondo; osservare il reale quotidiano vuol dire elevarlo a una sorta di miracolo che si concretizza davanti ai nostri occhi.

 

Tre: poesia è inevitabile tensione etica. Scrivere poesia vuol dire abituarsi al superamento di razzismi, pregiudizi, ideologismi.

 

Quattro: scrivere poesia vuol dire fare emergere le emozioni. Se esprimere emozioni è un’operazione importante, c’è forse uno strumento più utile allo scopo della poesia?

 

Cinque: scrivere poesia vuol dire entrare in relazione. Ogni autore scrive per essere letto, per entrare in dialogo col lettore, per costruire un ponte tra sé e l’altro da sé.

 

Sei: la poesia è linguaggio in festa; viene esaltata la polisemia, le molte dimensioni del senso.

 

Il libro si compone di sei brevi saggi sull’esperienza della poesia, alcuni occasionati da un corso condotto all’interno del carcere di massima sicurezza di Trani, altri da corsi di scrittura creativa tenuti all’interno di scuole di vario ordine e grado.

Poiché poche cose sono contagiose come la passione, è una lettura che appassiona fin dalle prime pagine, avvince come un racconto, e in effetti si tratta del racconto della propria vocazione a scrivere.

- Dobbiamo partire da una certezza: in un universo omologato, artificiale, schematico, economico quale quello attuale, scrivere è un atto rivoluzionario. Il poeta, di qualsiasi livello estetico sia, in ogni caso compie un’operazione contro, un’azione di recupero della propria soggettività, della propria identità. Manifesta la sua esistenza in un mondo che ci vuole numeri, segni, compratori. -

Da questa lettura il piccolo artigiano della parola esce confortato e motivato, corroborato nel suo impegno da aspetti a cui non aveva mai pensato.

Certo, viene da riflettere sulle conseguenze operative dell’atto rivoluzionario, sugli esiti effettivi, specialmente se si considera che spesso il povero volontario del verso viene irretito da un cospicuo numero di case editrici che in cambio di duemila euro circa, in media, vendono l’illusione di entrare a far parte per sempre dell’esercito dei poeti.

C’è anche un altro aspetto, positivo però: questa massa considerevole di artigiani della parola si cimenta quotidianamente in furibondi corpo a corpo con il linguaggio, e questa lotta ne fa dei frullatori del linguaggio, dei volontari che lo rivitalizzano, lo smuovono, lo tengono in vita, e noi, che ci cibiamo soprattutto di aria e di parole, dovremmo essere grati a questi volontari del verso che iniettano ossigeno nella lingua che usiamo tutti i giorni e ci mostrano che la creatività, che la poesia, distruggendo la banalità del linguaggio, sollecitano modi di vivere più umani.





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