Per le vacanze ho raccolto un gruppetto di autori a stelle e strisce che potrebbero allietare le letture estive sia in villeggiatura che in città.
Ormai adulto Joe ricorda l’anno in cui la sua famiglia si trasferì a Great Falls, Montana col miraggio di far soldi, questo è lo spunto da cui parte Richard Fox per il suo Incendi (Feltrinelli Editore, 165 pagg, 7,50 euro). Fu un anno strano, quello, il padre perse il lavoro, le montagne intorno la placida cittadina presero fuoco e la madre di Joe si innamorò di un altro uomo. Richard Ford racconta tutti questi cambiamenti, con gli occhi del piccolo Joe, il quale sembra sempre fuori posto, sente che intorno a sé le cose cambiano e non sa quale collocazione darsi, e quale collocazione dare ai suoi genitori e alle azioni che compiono. Il padre si allontana per tre giorni unendosi alle squadre che cercano di domare il grande incendio e questo suo allontanamento sembra scombussolare la madre, o semplicemente acutizza dissapori che già erano sorti in seno alla famiglia. Al suo ritorno sarà attraverso una parodia del grande incendio che il padre di Joe riaffermerà la sua centralità nelle vite dei congiunti. Un libro che scorre veloce, sulle sensazioni del piccolo Joe, denso di punti su cui riflettere, imperniato su una sorta di diritto alla ricerca della felicità, e su un senso di appartenenza che sembra negare proprio la agognata felicità. È anche un libro sulla propria collocazione, e sull’essere, in definitiva, sempre soli, anche legati ad altri, ma sempre a dover affermare il proprio posto. Molto belli nella narrazione gli scorci di vita in una cittadina della provincia americana e denso il tessuto psicologico dei tre protagonisti della storia, soprattutto della giovane voce narrante, in bilico tra la fanciullezza e le soglie dell’età adulta, col suo carico di responsabilità e decisioni da prendere. Le famiglie nella provincia americana sono un vasto filone nella narrativa a stelle e strisce, salvo poi declinare gli elementi comuni in storie totalmente differenti e variegate oltre ogni immaginazione. Di tutt’altra natura, infatti, il romanzo di Richard McCann, La madre di tutti dolori (Playground, 153 pagg., 13,00 euro), dove vediamo una classica famigliola composta dai genitori e due figli, i quali apparentemente sono quanto di più differente ci possa essere, l’uno legato al virile mondo del padre, l’altro immerso nelle fantasie di eleganza e bei modi della madre. Sarà la vita, con le sue asprezze e difficoltà a riunire le strade dei due figli, ormai cresciuti e privati del padre, in un cammino di dolore e perdita, lungo il quale la madre, persa in una sua follia tra rimpianti e ricordi, non ammetterà mai quel che sono i suoi figli e perché lo sono. Sembra una trama in grado di toccare qualunque città del mondo, questa, una madre che accusa un figlio di essere gay per attirare l’attenzione mentre l’altro figlio non può ammettere di essere anche lui gay per non turbare la già turbata madre. La quale non vuole nemmeno sentire nominare la parola gay riferita ai figli, tenendoli di fatto lontani, non permettendo loro di portare a compimento il loro essere all’interno della famiglia. Il viaggio dei due ragazzi lungo la vita è così zavorrato dalla incomprensione e li porterà a conoscere dolore e abiezione, l’uno rifugiandosi nell’alcool e nelle droghe, l’altro a vivere l’amore fuggendo. Il romanzo è molto bello, con una narrazione asciutta, quasi scarna capace di andare nel profondo della psiche dei personaggi, mostrandoceli nudi di fronte le loro ambizioni e i loro insuccessi nella vita. La prima parte narra l’infanzia dei due ragazzi, Davis quello più attaccato al padre con la sua vita da ragazzo come tanti, in apparenza, ma bloccato dalla balbuzie e dall’incapacità di apprendimento, l’altro, il protagonista e voce narrante (che resta senza nome) immerso nel mondo fatuo della madre, incapace di essere quel ragazzo ardito ed intraprendente che il padre vorrebbe, e che sino a metà libro il lettore indica come unico gay della famiglia. Nella narrazione entra tutto il terribile carico delle vite condotte nella non comprensione, la droga, l’alcool, l’attaccarsi a chiunque sembri offrire un appiglio, da un lato, dall’altro l’incapacità di amare, se non fuggendo, legame tra tutti la malattia, terribile, e vissuta quasi come prevedibile epilogo, e capace di mostrare anche l’ipocrisia e i pregiudizi delle persone. La narrazione si muove spesso tra il tempo e lo spazio, non appare perfettamente lineare, ed in questo mostra il grande valore stilistico dell’autore oltre al suo acuto sguardo sulla società moderna. Se in questo libro le scelte, o i destini, sessuali sono chiari, nel pazzesco Myra Breckinridge di Gore Vidal (Fazi Editore, 294 pagg., 18,50 euro) la sessualità è in continuo cambiamento. Pare non ci sia una linea di demarcazione netta fra i cosiddetti generi sessuali, Myra è vedova di Myron che era gay, ma che forse non è morto, Rusty è dolce ed eterosessuale, però diventa aggressivo. Una girandola divertente e trasgressiva, pubblicata per la prima volta nel 1968 ed ancora attuale e assolutamente dissacratoria, nella prima edizione le parole con cui erano definiti gli organi sessuali erano sostituite dai nomi dei giudici della Corte Suprema americana, come supremo sberleffo e difesa contro una eventuale causa per oscenità. La causa non giunse, ed ora in questa nuova edizione tutti i nomi sono tornati al loro posto. raccontare la trama surreale del romanzo lo potrebbe veder sminuire, basterà forse accennare al linguaggio, colto e preciso con continui riferimenti al mondo dei film anni 40, che lo fa rassomigliare a tratti a quella che dovrebbe essere la conversazione dei nostri attuali teenager (e anche quelli un po’più grandicelli) che vivono degli idoli della TV. Un libro divertente ed imprevedibile, attraverso il quale Vidal mette alla berlina certa società benpensante e un’area politica del suo Paese (ma che è ben presente in tutto il Mondo) dalle idee arretrate ed oscurantiste. Dal libro venne anche tratto un film con Raquel Welch nei panni dell’esuberante protagonista. Questo libro narra di come un americano a-tipico vede il proprio paese, invece quando un americano va altrove, come Edmund White riporta aspetti che ad altri possono sfuggire. Ne Il flâneur (Guanda, 169 pagg., 12,00 euro) White ci porta a visitare zone di Parigi di norma escluse dai tour turistici, ed approfitta di queste escursioni per parlare della Francia e della sua capitale nel corso dei secoli. White predilige come sua abitudine la storia sociale a quella degli avvenimenti di vasta portata, come per esempio l’afflusso di cantanti di colore dagli stati uniti nella più integrata Francia degli anni ’20, e, sempre per la quasi nulla discriminazione dei francesi verso le persone di colore sia servita come lezione per i soldati di colore presenti tra le truppe americane giunte sul suolo francese durante la prima guerra mondiale. Nel reportage di White non mancano i riferimenti letterari, osservazioni sul carattere dei francesi, notazioni di attualità e frammenti di Storia ormai dimenticata, tutti particolari che in modo inaspettato hanno lasciato la loro traccia sul volto di Parigi. Per finire questo “pacchetto” vacanze un libro che non esito a definire superlativo: Il libro delle illusioni (Einaudi, 268 pagg. 11,50 euro), di colui che meglio incarna la letteratura contemporanea americana, e coi, a mio parere, migliori risultati, Paul Auster. Il romanzo vanta una trama ricchissima, con spunti creativi assolutamente geniali, include vari personaggi costruiti con perfette proporzioni e raffinatezze psicologiche degne di note, i quali ruotano intorno al personaggio-feticcio della vicenda, e di cui Auster non solo ricostruisce una notevole vita ma la fa costellandola di particolari che la rendono perfettamente e plausibilmente reali. In breve uno scrittore per uscire da un lutto scrive un libro su di un attore del Muto, misteriosamente scomparso agli albori del sonoro. Evocato dall’uscita del libro il misterioso personaggio manda incontro allo scrittore una messaggera, con la quale lo scrittore entra in una sorta di nuova vita, fatta di passato e di ricerca del futuro. Il libro sembra proprio voler comunicare questo al lettore, il grande gioco fra vita e morte, il passare, durante una esistenza attraverso sia la vita che la morte, la propria o quella di altri, la propria in senso metaforico, la vita degli altri che condizioniamo, la morte che provochiamo e che evochiamo. La morte, infine, che volta le pagine, e al rammarico di una pagina giunta al termine vi è la scoperta di una nuova pagina, una nuova vita, da scoprire ed inventare. All’interno del romanzo vi è la descrizione della trama di un film, che potrebbe essere il libro medesimo svolto in altra maniera, sono di nuovo la vita e la morte, la vita che nasce dalle pagine di un libro, ma mentre si trasforma in letteratura si sottrae all’esistenza reale. I segnali che Auster manda al lettore sono molteplici e variegati, vi è il rapporto fra creazione e distruzione, in parallelo a vita e morte, vi è la vita dell’artista, a che diventa quando nessuno conosce le sue opere, vi sono i personaggi creati che vanno incontro al loro creatore (come in Viaggi nello scriptorium, titolo evocato in questo romanzo) e ne condizionano la vita. Molteplici sono i piani di lettura di questo libro, ognuno può trovarvi qualcosa che pare scritto apposta per lui, ma unica è la bravura dell’autore e ancor più unica la bellezza del libro.
Con questo spero di aver dato un aiuto a passare una vacanza un po’ più divertente con dei libri con cui svagarsi senza cadere nei soliti mattoni creati apposta per essere comprati sulla strada verso la spiaggia, ma, dopo poche pagine, utilizzati per evitare che una folata di vento più forte delle altre si porti via l’ombrellone o il cestello della merenda.