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Rose di notte

Racconti

Benedetta Sara Galetti
Giampiero Casagrande Editore


Recensione proposta da LaRecherche.it

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Pubblicato il 22/07/2011 12:00:00

[ Recensione di Silvio Aman ]

 

 

Rose di notte della giovane Benedetta Sara Galetti è composto da tre brevi racconti dal forte contenuto etico, come specifica l’editore nella sua breve nota:

 

È proprio confrontandoci con il dolore quotidiano, per quanto possa apparire    cieco e immotivato, che possiamo sperare di recuperare un senso, di costruire una possibile via verso la piena realizzazione di noi stessi […] una ricerca di senso e di speranza di fronte alle difficoltà a cui l’uomo è destinato, alle quali può reagire solo grazie alla coerenza delle proprie scelte, ovvero considerando, come dice la scrittrice, il proprio compito, per quanto gravoso, come un  dono.

 

In La scelta di Rosa, la protagonista in seguito alla scomparsa della madre, di cui si prese cura, rinuncia al matrimonio per entrare al servizio di una famiglia; in Una vita il giovane Vanni, studente gravemente ammalato, decide di rincontrare il padre fedifrago, e in Due biglietti per Venezia, Caterina sceglie a sua volta di tenere con sé la vecchia madre malata. In base alla loro tipologia, Northrop Frye ricondurrebbe questi racconti (che rappresentano modelli esemplari di convinto altruismo e rinuncia all’orgoglio da parte di gente comune) al modo “basso-mimetico”, proprio perché il loro eroe non rappresenta il tipo di grado superiore in rapporto agli altri soggetti e al suo ambiente: meglio, quindi, rispolverare per loro l’espressione di “racconti senza eroe”. Il coraggio della Galetti supera comunque queste tendenze ormai storicizzate (compreso il rischio dovuto all’uniformità del suo lavoro) nel senso di non lasciarsi sedurre dal male, spesso molto più suggestivo e variegato, né di cedere alle facili soluzioni allo scopo di ottenere  successo. I suoi giovani – due ragazze e uno studente universitario – avvertono la necessità di prendersi cura degli altri, specie se sofferenti, senza avvalersi di supporti fideistici e moralistici, perché, con la loro etica, non ne hanno alcun bisogno. Sarebbe dunque fuori luogo, impiegare il termine “ottimismo”, se l’impegno di questi soggetti a confronto con la malattia e il dolore nasce dall’intima esigenza delle loro anime: in una parola da quella di fare il bene.

Tenendo presente simile direzione, non dovrebbe stupire l’impiego della lingua parlata, tanto da suggerire l’idea di una sua registrazione appena corretta, cosa non certo nuova, nell’ambito della prosa moderna e contemporanea. Tra l’altro la tecnica impiegata potrebbe ben risalire a modelli di lingua inglese, come ci suggerirebbe anche l’inizio del racconto Due biglietti per Venezia, dove, in una libreria per acquistare dei regali di Natale a ragazzi e adulti, la scelta cade su Addio alle armi, Colazione da Tiffany, L’isola del tesoro e i romanzi di Louisa May Alcott. Se uscire dalla retorica e dall’antiretorica – pur essa tale – è quasi impossibile, non dimentichiamo la positiva ingenuità della nostra giovane scrittrice, per la quale lo stile vuol essere innanzitutto stile di vita, e che a ciò si mantiene sempre coerente, nell’esporlo “in diretta”, come dimostra la prevalenza dei dialoghi fra soggetti intenti a ragionare e a risolvere le difficoltà esistenziali… nel far insomma parlare i personaggi, anziché filtrarne le parole tramite giudizi e commenti. Del resto, anche quando essa abbandona il dialogo, non esce mai dalla loro vita, anzi li segue nei loro movimenti e affetti mantenendo una impersonalità di ascendenza flaubertiana.

Lo scenario è rappresentato dall’ambiente familiare, ma non per affrancarsene, perché se la famiglia è il primo nucleo in cui può avvenire la formazione dei soggetti destinati a svilupparsi nella società, la Galetti mostra di privilegiarlo. La via dell’amore come dono, all’interno della famiglia, la allontana dunque moltissimo dai modelli sempre un po’ narcisistici dell’amore-passione di ascendenza stendhaliana, come anche dalle spesso egoistiche vicende legate all’innamoramento, sicché chi cercasse nei suoi tre pezzi tormentose seduzioni o qualche storia entusiasmante, si troverebbe deluso. Essi ci ricordano, sia pure da lontano, i Trois contes di Flaubert, specialmente con La scelta di Rosa, che potremmo avvicinare alla vicenda di amore e sacrificio di Un coeur simple.

Il messaggio è qui stringente: o si ama o non si ama, privo di cornici letterarie e di conforti estetici, come accennavo sopra: esso riguarda per intero, senza sfrangiature, i soggetti impegnati ad ascoltare gli altri e a cercare il proprio compito fra dubbi e modi diversi di intendere la vita. Nel dialogo con la sorella Elda, che vorrebbe spingere Caterina a liberarsi della madre anziana, la risposta di quest’ultima è inequivocabile:

 

È come se lei [la madre] mi fosse stata donata, anche se è malata, anche se è doloroso starle accanto. È così difficile spiegarmi. Il punto è che a te è stato donato un marito, dei figli. Io, invece, ho ricevuto in dono mia madre [non dice: nostra madre!]. Per me non c’è differenza. Io le voglio bene proprio perché è malata, perché è mia madre e perché per lei sacrificherei me stessa. Ma non è quello che sto facendo. Non sto sacrificando nulla. Sto accettando il dono che mi è stato concesso. È questo che faccio. (Due biglietti per Venezia)

 

Accettare il dono della persona malata non è comodo, specie se limita la libertà (spesso nel senso di esentarsi dall’impegno), ma poiché il dono comporta di riconoscere l’altro, nel senso specifico di rispondere positivamente alla sua domanda di amore, non si può più parlare di sacrificio: si tratta, al contrario, dell’atto di amore gratuito, senza tornaconti, e questo messaggio, nella scarna prosa di Benedetta Sara Galetti, appare profondamente convincente.  


S. A.





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