Attraversava la piazza: non mi sembrava cambiato.
Magro come lo avevo conosciuto quando da ragazzetto frequentava l’istituto per geometri. La chitarra era la sua altra passione, perlomeno sembrava così nei primissimi anni novanta.
Dopo il diploma si era buttato sull’informatica ed era diventato bravo, tanto da lavorare come professionista prima in Italia, per un ministero, poi fuori per grandi multinazionali.
Ora era in ferie a casa, ma sarebbe dovuto tornare in Irlanda per il suo lavoro. Prodotto felice della Generazione Erasmus.
Poche parole scambiate però mi hanno fatto capire quanto poco invidiabile considerasse lui, la sua vita che sembrava piana, ma aveva scoperto quanto giocasse d’azzardo.
“Mi accorgo, mi ha detto, quanto di volta in volta mi allontani sempre più da casa e per sempre più tempo. “La trama è sempre più spessa e difficile da passare; a questo punto sarebbe meglio non tornare più per poi non dover nuovamente andarsene.”
La vita lo aveva birillato come bocce da biliardo. I birilli le stava abbattendo con la sua boccia.
“Perché non torni qua, un lavoro lo troveresti con le tue specializzazioni e la tua esperienza”– gli ho detto.
“Dovrei accontentarmi di molto meno, di un lavoro che non sarebbe allo stesso livello; anche dal punto di vista economico, là guadagno il triplo”.
Pagava anche il suo conto, il triplo, anche se non c’erano osti.
L’ho salutato con la sensazione che non lo vedrò più. Il Batavo ripartiva per la sua vita errante, preso dal suo gioco da giocare fino in fondo, a tutti i costi.
Attraversava di nuovo la piazza: dentro era cambiato.
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