L’interno della chiesa è debolmente illuminato in questa giornata ottobrina di vento fastidioso, di cielo plumbeo che lascia cadere manciate di pioggia.
Quando Caterina raggiunge il banco, la messa è già iniziata e poco manca all’omelia.
Il vecchio arciprete, curvo e incespicante, si affretta verso l’ambone pensando con evidente coinvolgimento alla parabola del cieco:
”Gerico, una bella città con tante persone...un’oasi nella quale arriviamo noi, nella quale arriva Gesù.
Il cieco lo cerca, lo vuol vedere, lo chiama.
Gli altri intorno tentano di dissuaderlo: - Che cosa vuoi fare, tu! Taci!
Ma il cieco grida più forte: -Figlio di Davide, abbi pietà di me!
E Gesù lo sente, gli chiede che cosa vuole e, quando l’uomo implorante gli domanda di riavere la vista, Gesù lo esaudisce perché sa che ha fede. E il cieco segue Gesù lungo la sua strada.
“E’ una bella parabola- prosegue il sacerdote, curvo per gli anni, aggrappato con forza ai bordi del leggio- una parabola che ci parla.
Anche noi siamo nella condizione del cieco. Abbiamo bisogno di ritrovare la vista, di essere illuminati dalla fede. Qui a un’infermità temporanea del corpo segue l’eternità dell’anima, illuminata dalla fede.”
La voce del vecchio sacerdote è piena di umanità e soprattutto di convinzione: la convinzione dell’uomo di Dio che è cresciuto nella fede e adesso è prossimo al trapasso. La convinzione di chi sa di essere abitato dallo Spirito di Dio.
Caterina pensa che le parole del vecchio sacerdote hanno la forza della gioia e quella del dolore, perché l’uomo alterna la consapevolezza del ritrovarsi a quella del perdersi.
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