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Cantare con precisione

di Federico Zucchi
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Pubblicato il 21/05/2017 19:06:17

Cantare con precisione

Cantare con precisione le tomaie sdrucite nel sottopasso della stazione,
l’iride tramontato nella pupilla, la punteggiatura di un silenzio di neve,
la chioma punk del glicine, le pallide cene dove ognuno sorseggia il suo sé,
l’umorismo degli ombrelli sfasciati, il poggiatesta sulla Giulietta infantile,
le parole taciute di Whitman infermiere, la ferma clessidra dei braccianti
sotto il sole, la massa dei corpi costretti a vascello, mia nonna Regina che
sfida la notte per un bicchiere di latte nel coprifuoco.

Adesso che le ombre si stanno cambiando nel camerino della paura
bisogna stringersi addosso al corso dei fiumi, al timone più chiaro degli occhi,
perché il cuore dell’uomo è il boccone del prete che la notte vuole spartirsi.
Adesso che ognuno coltiva da solo la speranza del carcerato, adesso che Aleppo
è stata sventrata e spettri con voce melliflua scrivono i nuovi libri di storia,
adesso che si bombardano le sponde del Tigri, impugnando parole di greggio,
adesso che migliaia di yazidi sono state estirpati come aquiloni di carne velina,
adesso che la ricchezza ha mascelle al silicio e amnesie di pane agognato,
adesso che la droga della sicurezza viene spacciata come elisir di lunga vita,
adesso che i vecchi rimpiccioliscono perché non sanno postare,
adesso che la censura stende la trapunta leggera su ogni globo oculare,
adesso che vestiamo dolci parole negriere e armiamo
la bocca di esangui distinguo,

noi dobbiamo spogliarci e cantare con precisione la maestosità di un volto che si desta al mattino,
i fuochi degli sterpi sulle sponde del Danubio invernale, la virata dei colli protesi in un bacio,
i corpi accuditi in assorta preghiera, la polvere scossa, il desiderio che erompe dal magma
del ventre, perché l’amore è l’oscuro ponte levatoio che trapassa le sbarre mentali
e ci trascina fino al torsolo della bellezza iniziale,
nella spelonca radiosa dove il senso rinasce.

Cantare con precisione la polpa, il canto poliglotta della farina, il terso abisso che ci muove al pianto. Cantare con precisione la vita, accostando la bocca alla pieve del bosco, gli occhi
all’imam delle stelle, l’orecchio al kaddish della grazia che persiste a intonare, a lasciarsi
cadere dentro la nostra portata, perché è tempo di portare l'acume della torcia
un passo più dentro al nesso vitale.

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