GLOBULARE
Per strada si era accorta di aver dimenticato il cellulare. Aveva guardato l’orologio: qualche minuto di margine c’era ancora.
Era ritornata a riprenderlo: la casa sempre immersa nel sonno della madre, le stanze ancora avvolte nella penombra del primo mattino.
Era uscita di nuovo, correndo. Col cancello aveva dato un colpo secco alla colonnina di ghisa.
Ci voleva una mezzora buona per raggiungere la fermata del pullman. Doveva forzare l’andatura. La madre non poteva più accompagnarla in macchina. Si sentiva troppo debole e vedeva male.
Gli automobilisti sfrecciavano diretti al lavoro. Quella era una strada di transito sostenuto.
Lei si augurava che qualche faccia conosciuta la notasse mentre si affannava sotto il peso dello zaino. Ma tutti andavano di fretta: i veicoli si succedevano senza tregua, uno dietro l’altro, facendo percepire la potenza dei motori, la sicurezza dei mezzi di nuova generazione.
Lei aveva in mente tempi più lenti, chilometri all’ora che si traducevano in sessanta al massimo ottanta, e al volante qualche faccia familiare aperta al bisogno e disponibile alla gratuità.
Ma non c’era nessuno. Solo automobili fiammanti che si producevano velocissime sulla provinciale, trasformata da alcuni anni in due larghe corsie con margini di sosta.
Autisti robotizzati e invisibili dietro il parabrezza.
Mentre camminava ansante ripensò ad Elly. Alla sua ultima pubblicazione.
Si era stupita di quanto fosse stata esplicita nel rivelarsi quando invece era criptica e complicata, amante di neologismi e parole astruse. Le ritornava in mente quel “globulare”, usato in un testo per indicare la deglutizione di un pasticcino.
-A me piace leggere di sentimenti. Di orgogli deposti e canti aperti- le aveva detto.
-Sì, ogni tanto ci vuole. Ma non si può eccedere perché ai lettori piace il sofisticato. Anche se fare arte in modo semplice è un’abilità, non sempre questo viene apprezzato. Poi il lineare e il sentimentale non vanno proprio- le aveva risposto Elly.
Lei continuava a ripensarci, mentre avanzava affannata lungo la via piena di traffico e guardando l’orologio.
-Non ce la farò, non ce la farò! Vedrò il pullman passarmi davanti!-
Stava per rimettersi a piovere e sarebbe stato un doppio guaio aspettare la corsa successiva: non c’erano ripari nel punto in cui avrebbe dovuto sostare e l’ombrello si era rotto.
Continuava a camminare frenetica. Chiunque avrebbe notato la sua necessità.
All’improvviso, inaspettatamente, una macchina le si affiancò:
-Vuoi un passaggio?
Era un immigrato: la pelle scura, il sorriso intuente.
-No, grazie. Sono arrivata!
Non lo conosceva. Che cos’altro avrebbe potuto dirgli?
Magari era una brava persona, che si era semplicemente accorta della sua difficoltà e le avrebbe voluto dare un innocuo passaggio. Ma lei era costretta a declinare l’invito.
Si morse un labbro, mandò degli accidenti ai conterranei insensibili che continuavano a far rombare le macchine senza considerare il fatto che una donna, non più giovane, poteva avere urgente bisogno di prendere una corriera alle sei e mezza di mattina. E non si fermavano.
Non si fermavano, forse anche, perché avevano già realizzato di ricevere un no secco, in un mondo insidioso e complicato in cui le cose semplici non trovavano più posto.
Lei proseguì la marcia avvertendo un lieve disturbo alle coronarie. Ma le lancette sembravano aver rallentato, la fermata si faceva sempre più vicina.
Arrivò esattamente un minuto prima rispetto all’orario previsto. Il tempo di inspirare ed espirare.
Il pullman puntualissimo le inchiodò davanti la portiera. L’autista aveva un cappellino nero all’americana, una polo dello stesso colore e due serpenti tatuati sul braccio destro.
Lei salì, timbrò il biglietto con la tariffa a zone, si avviò un po’ ondeggiante lungo il corridoio e si sedette accanto a una ragazza in short, che esibiva gambe tatuate e sandali con borchie. Fissa su una sequela di immagini nel cellulare che riprendevano gatti in varie pose.
Lei sistemò la borsa sotto il sedile e guardò dal finestrino: la campagna con le sue distese di sorgo, in parte mietuto , lanciava la sua rassicurazione.
Si chiese che cosa avrebbe scritto Elly per rappresentare il tutto.
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