Pubblicato il 26/06/2018 18:32:11
FINZIONE
Si era sempre chiesta come sarebbe andata a finire. Fin da quella volta in cui le aveva telefonato per complimentarsi della sua performance, lasciandole percepire di averla già avviluppata nella propria espansione emotiva. Lei ne aveva riportato una gioia sconfinata. Il consenso di lui la segnava dell’unto sacro che usciva dall’ampolla: aveva sottolineato l’essenza del suo tratto pittorico, cogliendo accentuazioni coloristiche e lastre fotografiche sovrimpresse. Lei gli si era inchinata e, dopo due o tre frasi, che andavano dritte alle corde, si era quasi convinta di non dovere più tendere l’orecchio alla cupa Cassandra, che sentiva dentro negatrice di felicità. Lui, alto, i capelli lunghi arruffati e grigi, la mimica facciale perfettamente plasmabile alle situazioni, la voce arrochita quel tanto per accelerare le pulsazioni del miocardio, lanciava sguardi eloquenti al gruppo delle studentesse che gli si faceva intorno flautando ad ogni appello. Dopo quell’elogio pubblico e privato al suo ritrattismo di chiara vocazione sociale, lei gli aveva lanciato la chiave delle stanze interne invitandolo a presiedere le mostre. Il nome di lui era ponte con cui sollevare la portata della propria opera. In realtà solo un pretesto. A lei interessava gettare le basi di un rapporto, ingenuamente convinta della sua consistenza ed esclusività . Erano stati anni di chiara e trasparente meraviglia. Di scambi di opinioni e confidenze. Di tributi sentimentali in piena regola. Di condivisioni e opposizioni di pensiero. Anni in cui il passato di solitudine e di attesa sembrava aver trovato una prerogativa di apoteosi, fino ad allora riservata all’ambito del sogno. Rispondeva in tutto e per tutto al sempre desiderato. Nella pratica dell’assecondamento… -Troppo bello per essere vero-. Una volta lei glielo aveva anche detto e lui non aveva risposto. E infatti non era vero. Solo abilità di mimesi, intuizioni e sensibilità. E voglia temporanea di fare come se fosse, perché non era e non sarebbe mai stato. -Non provo nulla. Sono incapace di amare. La mia è sola finzione. E proprio per questo funziona-. Si era opposta con tutte le sue forze. Ma la cupa Cassandra era lì, seduta in qualche angolo buio della sua stanza, muta e vaticinante ogni mattina. Doveva prenderne atto al più presto e ritrovare la dimensione del -non importa- in quello che più contribuiva ad accrescere la propria autostima: l’accecante luminosità della sua arte. Una lastra fotografica sfuocata, una sensazione di appassito. -Il Narciso triste- l'avrebbe chiamato :vagamente somigliante a Dorian Gray.
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