Ridefinire vocaboli
“Moniaspina”, di Monia Gaita, è raffinata silloge le cui ritmiche trame possono indurre a pensare sia a un atteggiamento d’offerta, sia a uno di pervicace arroccamento.
È una sorta di fortilizio idiomatico ciò che viene eretto da versi come
déntro le dita
lunghebbromaghe
dell’estate
o come
Legata come cane
a disetànei guinzagli di stanchézza ?
Potrebbe sembrare di sì, quasi nel caso in parola la versificazione costituisse uno scudo dietro al quale proteggersi.
Potrebbe, nondimeno, essere vero il contrario.
Dinamiche sequenze, consistenti in originali contrappunti polifonici, verrebbero offerte, senza timidezza, da una consapevole autrice in grado di praticare un’articolata scrittura con impegno assiduo e leale.
Propendo per quest’ultima ipotesi: nulla, d’altronde, appare più falso del cercare una facile leggibilità a tutti i costi.
Il dire poetico non sgorga spontaneo e immediato, è, piuttosto, frutto di un intenso lavoro sul linguaggio, sicché certi esiti rappresentano il raggiungimento di un risultato, non un fittizio punto di partenza - arrivo.
L’accanirsi sulle forme, insistendo su vocaboli e accenti, è la peculiare via seguita da una poetessa che sceglie, con tenacia e coraggio, talune pronunce, proprio quelle e non altre, per nulla intimorita dal proporre testi non dei più agevoli.
Non si tratta di sdegno nei confronti del lettore, poiché siamo di fronte ad un vivido atto di fiducia nelle possibilità di non usuali (poeticamente soddisfacenti) tratti linguistici.
È presente, insomma, desiderio d’offerta in questi versi tesi a promuovere una comprensione non tramite bolsi ammiccamenti, bensì in virtù di precise opzioni idiomatiche.
Né mancano fulminee immagini, la cui maggiore compostezza non va a scapito di un intento poetico coerente:
Brùcia com’una fiamma ossìdrica
il passato
In oggettivo contrasto con quanto sostiene nella breve intervista rilasciata a Mario Fresa (autore di un’illuminante nota introduttiva), Monia tende (e riesce) a comunicare secondo una lingua poetica specifica e sollecita, non volta a chiudersi, ma a instaurare contatti.
Del resto, quando scrive, ad esempio,
Vado a pésca
di cèfali di luce
col pensiero
mostra d’essere perfettamente a conoscenza di come l’arte della parola, lungi dall’aspirare a un indefinito Assoluto, costituisca, efficacemente, quel diverso dire la cui costruzione è compito del poeta.
Sènza aliantisti d’esitante,
ridefinisco i vocaboli
appunto.