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La riva opposta

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 28/05/2018 14:12:07

LA RIVA OPPOSTA Da “Gulliver”, 28 Giugno 2016

Era una calda giornata estiva quando, verso l’imbrunire, il sonno mi vinse. E nel mio quiescente stato di abbandono mi parve di essere su una barca che scivolava leggera lungo un fiume abbastanza profondo.
Sentivo un rumore indistinto farsi sempre più vicino. Sembrava una nenia accompagnata da battiti di mani, tonfi, imprecazioni. Guardai meglio verso riva e vidi comparire una schiera di gente che avanzava ora lenta ora scomposta. Dalla posizione in cui mi trovavo riuscivo a scorgere i visi, il movimento dei corpi, gli oggetti stretti nelle mani, i fogli di carta librati in alto.
Il mio occhio cadde appunto sui fogli di carta. Erano degli spartiti di fronte ai quali una signora, dai capelli ramati, si produceva in una esibizione canora. Fissava con attenzione le note che aveva davanti e il suo coro di ragazzini intorno… Anna!!!
-Anna- chiamai o mi parve di chiamare, ma lei era troppo intenta. Non mi vide, non mi sentì.
-Anna- pensai- la tua grinta, la tua forza!
Vicino a lei un uomo traeva suoni meravigliosi dalle corde di un violino.
-Fulvio!-. Era così preso da quella musica, destinata alla platea dei suoi piccoli, che non mi sentì nemmeno lui.
Poi, si fecero innanzi sette signore. Ognuna stringeva nella mano destra un libro e nella sinistra una risma di fogli, mentre dalle spalle pendeva uno zaino e, a giudicare da quanto si incurvavano per reggerlo, doveva essere davvero pesante. Anche loro sembravano molto assorbite da qualcosa. Alcune parlavano animatamente, altre stavano in silenzio. Erano tutte così indaffarate, frenetiche.
-Antonella, Imma!!!Rosalba! Angela! Lina! Maria Chiara! Vittoria!- chiamavo dalla mia barca che lenta solcava il fiume. La vostra compagnia, il vostro affetto, la vostra disponibilità! La professionalità! Avrei voluto dir loro.
Ma, nonostante io le vedessi chiaramente, esse sembravano molto lontane.
Ora si stagliavano in centro alla riva tre figure femminili, guidate da una maschile. Tutte con uno zaino pesante che sembrava ricolmo di pietre. Avanzavano piano ma inesorabili, piene di forza.
E in mano i gessi, i compassi, le squadre. Discutevano, gesticolavano.
-Donatella! Annalisa! Chiara! Stefania…Mario…- non li chiamavo, pronunciavo i loro nomi muovendo lentamente le labbra. Donatella l’infaticabile, Chiara dai mille interessi, Annalisa e Stefania dispensatrici di simpatia. Pensavo.
Quindi, recando sulle spalle gli stessi pesi, si spinsero innanzi altre quattro figure condotte sempre da un uomo. Le loro favelle suonavano strane.
L’uomo portava un cappello sulle ventitré e cantava una canzone in francese che mi pareva di aver già udito da qualche parte…
-Gloria! Cristina! Giusy! Angelica!...Salvatore!- sapevo che non si sarebbero voltati.
Gloria la lady, Cristina l’affabile, Giusy senso dell’humour, Angelica la battuta pronta. E Salvatore con la sua voglia di mimo e di danza.
Poi, si fece largo un gruppo più nutrito composto da un uomo che reggeva pialla e lima, sette giovani ragazze che conducevano a braccetto dei ragazzini e un giovane alto con uno schermo sotto braccio.
Makio, ovvero San Giuseppe; Pamela, Debora, Annalisa, Valentina, Sofia, Livia, ovvero le Grazie. E Mauro, il preciso.
Adesso giungevano a coppie: Brunella e Rita, Eleonora e Carla, Anna e Fabiola: le creative e le ciarliere, le riflessive e le dinamiche, le originali e le posate.
E poi Davide, il podista, l’ascetico.
E infine lei, Maria, a chiudere la fila. Maria, in moto perenne. L’impareggiabile Maria.
Tutti sotto il loro peso, tutti stravolti dal terribile sforzo.
Quando poi il mio sguardo riuscì ad abbracciare l’intero orizzonte, mi accorsi che alla schiera più folta se ne affiancava un’altra, anch’essa in continuo movimento, anch’essa a portar pesi, fogli e innumerevoli oggetti.
E riconobbi Mariangela, Rosalinda, Vincenzo, Piera e altri. E poi Lilli, Pina, Erminio, Rosa, Piero e altri ancora. Tutti presi dall’immane travaglio.
E non pareva che lo stato di fatica, in cui versavano, fosse bastevole a mortificarli perché in quel sito, percorso dalle due file, arrivò improvvisamente uno stormo di uccelli simili a picchi che, con i loro lunghi becchi, cominciarono a battere entrambe le schiere.

In quel momento mi accorsi che la mia barca era condotta da un nocchiero e mi volsi verso di lui per chiedergli perché quelle persone, che conoscevo così bene, tenessero quel modo inspiegabile sembrando vinte da tanta fatica.
Egli mi rispose che quelle erano le anime di coloro che avevano deciso di donare il fuoco della conoscenza ai piccoli e perciò, al pari di Prometeo, erano destinate a essere tormentate dagli uccelli e a portar pesi come Sisifo.
Perché anche il piacere di trasmettere conoscenza –egli aggiunse- è figlio dell’affanno.
Riguardai verso riva e scorsi un’altra animella. Che se ne stava in disparte. Ed era così rimpicciolita che pareva un essere diverso.
Allora mi rigirai verso il mio nocchiero e gli chiesi chi fosse quell’essenza.
Ed egli mi disse:
- Sei tu, che a poco a poco vai lasciando questa riva per raggiungere quella opposta- e mi indicò col dito la spiaggia di fronte dove già si scorgevano persone.
Riguardai il mio nocchiero e i suoi diversi sembianti nei quali riconobbi i volti dei miei Superiori e di altre persone con le quali avevo condiviso in precedenza il mio cammino.
Non so se volsi il capo per osservare ancora l’animella che andava sempre più assottigliandosi, discosta dalle altre, o invece mi misi a guardare la sponda dove mi stava per condurre col suo remo il timoniere esperto perché, all’improvviso, mi svegliai.
O forse ero giunta a un punto in cui non mi era più permesso di vedere… trattandosi ormai di cose future.

AI MIEI COLLEGHI CON AFFETTO E CHIEDENDO VENIA PER LE MIE MANCANZE!

Teresa

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