Davide abitava in una pensione, anzi, sua madre gestiva una pensione, o meglio ancora dava in affitto le stanze che aveva al piano di sopra.
Sulla strada c'era solo una piccola scritta illuminata da un neon sempre scarico che la indicava, quasi a scusarsi dell'indicazione che dava.
Il fascino della pensione era racchiuso nella sala che impreziosiva gli ambienti al piano terra costituiti per il resto da una strana cucina triangolare ed una stanzetta adibita a saletta per il pranzo. Nel grande salotto la luce filtrava solo da una finestra non molto ampia che faceva rimanere l'ambiente in penombra perpetua agevolata anche dal legno scuro dei mobili di epoche diverse, con il loro splendore lasciato ormai alle spalle: anche gli specchi riflettevano il buio.
C'erano delle poltrone disposte senza ordine e due grandi divani di pelle spessa e rugosa come poteva esserlo quella di un elefante. La loro disposizione non solo era parallela ma erano uno dietro l'altro e ricordavano le due parti posteriori della mitica Fiat 600 multipla che abbiamo avuto per un po' di tempo e che ci piaceva proprio perchè ognuno di noi aveva tutto un settore di sua competenza...
Il bello del salotto della pensione era un po' questo, ognuno dei due figli della famiglia aveva, il suo divano. Che invidia!
Gli strani tipi che frettolosamente entravano dal portoncino e si recavano al piano di sopra però, con evidenza, non se ne servivano. Chissà perchè avevano così fretta da non apprezzare l'onore di stravaccarsi su quei divani senza neanche preoccuparsi di ciancicarli troppo considerata l'evidente vetustà decadente.
Ecco, era alla fine un salotto sprecato visto che chi frequentava le camere non ne aveva bisogno.
Allora era di Davide, di suo fratello ed anche nostro.
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