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Di squisita cultura

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 30/04/2018 18:50:58

“ DI SQUISITA CULTURA…”

Perché il Provveditore l’avesse convocato quasi d’urgenza, come la segretaria gli aveva fatto vagamente intendere consegnandogli il fax, non gli riusciva facile da spiegare. Forse si trattava solo di una normale pratica di routine e il nuovo Dirigente Provinciale voleva semplicemente conoscere quel preside che aveva inoltrato al competente ufficio la domanda di pensionamento.
Tuttavia, al pensiero di dover varcare la soglia dell’ufficio nell’enorme palazzone kafkiano, per incontrare una persona con la quale i rapporti si preannunciavano finiti sul nascere, il preside Cesare Riva, già carico di obblighi burocratici , si sentiva sfiorare da un senso di inquieto fastidio, anche se non poteva sottrarsi all’appuntamento con il superiore…
Vent’anni. Erano passati vent’anni da quando aveva consegnato a Roma, tra tanti candidati, le considerazioni sulle qualità che deve possedere un perfetto dirigente, affermando, nero su bianco, che il preside, nell’esercitare le proprie mansioni, deve essere guidato dall’esprit de géométrie e soprattutto dall’esprit de finesse.
Era piaciuto il riferimento alla contrapposizione pascaliana tra mente e cuore e, così , in quella scuola di Caluso, dove era stato apprezzato come insegnante, era ritornato per essere stimato preside.
Anni lunghi e pesanti a imparare la pratica del mestiere, a mettere assieme con dedizione quasi claustrale e pazienza certosina la burocrazia, gli orientamenti didattici e le relazioni umane.

L’appuntamento era stato fissato per le dieci.
Parcheggiò la macchina in via S. Tommaso. Scese e sigillò gli sportelli dell’Audi. Raggiunse l’ingresso dell’edificio kafkiano, superò l’atrio e attese l’ascensore. Quarto piano.
Varcò una porta, dopo aver delicatamente bussato. Il Provveditore era all’interno e si alzò in piedi.
- Preside Riva? Piacere di conoscerla!
Ci fu una stretta di mano.
-Si sieda- proseguì il Dirigente Provinciale- Come si sta nel Canavese? Maturano le uve?
Sorrise leggermente Cesare , andando col pensiero al motivo della convocazione.
-Dunque, Preside, io ho qui una lettera che mi hanno mandato, da quel che capisco, i suoi insegnanti, nella quale mi si chiede di convincerla a ritirare la domanda di pensionamento, che lei ha presentato, non è vero? - chiese il Dirigente.
-Sì, l’ho presentata – confermò Riva, incredulo.
-Francamente- proseguì il Provveditore - non mi era mai capitato di dover invitare un preside a ritirare la domanda di pensionamento. In tutti questi anni, infatti, mi sono giunte da parte dei docenti richieste per motivi esattamente opposti. Lei allora è molto stimato, a quanto vedo. Del resto, la lettera parla chiaro: “…il nostro preside, persona di squisita cultura e di profonda sensibilità , è stato nell’esercizio del proprio ruolo elemento di coesione nell’ambito della scuola e del territorio… ”.
Riva, imponendosi un atteggiamento distaccato e di tranquilla compostezza, chiese di vedere lo scritto. Il dirigente glielo porse e il pensionando dottore lesse bene e memorizzò.
-Allora ? Che ne dice? Vuol far contenti i suoi insegnanti?
-Francamente, ho raggiunto un’età veneranda che non mi consente di esercitare oltre questo mestiere.
- La sua scuola funziona bene...
- Non si fa mai abbastanza...- era umile.
-Tra l’altro, so che lei, come me, è un estimatore della nostra storia, delle nostre tradizioni che oggi purtroppo rischiano di essere travolte, sa… con l’impero della tecnologia…Insisto anche per questo- e il Dirigente lo guardò serio.
Cesare non rispose.
-Che posso dirle, dottore ? Non ho la facoltà di obbligarla!
-Beh, lascio le consegne a un buon gruppo di insegnanti validi…che hanno organizzato tante attività, tra cui anche laboratori di ricerca su testi dialettali, sulle danze e le canzoni popolari…
L’incontro ebbe termine.
Cesare, di ritorno a Caluso, pensò che avrebbe chiesto all’insegnante di religione, don Giustino, e al vicario per capire di più. Ma il giorno dopo entrambi dimostrarono di non sapere nulla della lettera.
Riva era meravigliato.
Si ricordò, poi, che l’Istituto comprendeva anche la Scuola Elementare e allora non gli fu difficile supporre che le autrici fossero invece le maestre, più affiatate delle insegnanti delle medie.
Quelle che erano state sue colleghe, inoltre, ne avevano subito il plagio e non si sarebbero permesse di interferire nelle sue decisioni. Lui aveva citato più d’una volta una frase di Mauriac : “Non si deve entrare nella vita degli altri, se non si vuole essere mutati in una statua di sale” .
Sì, adesso restava solo da scoprire da chi era partita l’iniziativa. Ma, per questo, c’era tempo.


I colleghi organizzarono una cena d’addio monumentale presso il ristorante più rinomato della zona. Il menu era stato curato personalmente dallo staff presidenziale e si concludeva con il dolce bonet.
Terminata la cena, interrotto il cicaleccio sotto le lampade forti, fu portato il regalo: un pacco di libri. Volumi dalla coperta goffrata mostravano stampe patinate di pittori prestigiosi, da Caravaggio a De Chirico. Tra le pieghe dell’incarto zigrinato era stata collocata la lettera d’encomio, con cui i colleghi, ripercorrendo affettuosamente il cammino insieme, esprimevano rammarico e auspici.
Lette personalmente dal Capo d’Istituto, quelle righe suscitarono emozioni nei presenti: si videro lacrime fuoriuscire dalla congiuntiva di qualcuno.
Infine, il folto gruppo dei convenuti sciamò dal giardino del ristorante dopo il congedo finale .
L’intermezzo vacanziero trascorse per il preside Riva nel modo consueto. Il mese di luglio fu dedicato a compilare scartoffie e quello di agosto comprese il soggiorno in una città europea e lunghe passeggiate nell’anfiteatro morenico del canavese.

L’arte, accanto allo studio del dialetto, era una passione di Cesare. Interveniva a convegni e a mostre, collezionava tele a olio. Se usciva con il cavalletto, si buttava sul guado dei torrenti e ritraeva la sagoma delle montagne. Anche i mercati di frutta e verdura lo ispiravano per l’intensità dei colori naturali.
Un venerdì, a Ivrea, incontrò la maestra più anziana, quella che aveva insegnato alla figlia le poesie di Rodari e i canti popolari.
La vide incespicare tra le bancarelle con due borse di carciofi.
Le si avvicinò.
-Ah, Cesare, sei qua?!
-Vuoi che ti aiuti, Adele?
-Ce la farei anche da sola. Ma grazie. Sei sempre gentile…- e poi -Come va? Come si sta in pensione ?
-Mah, io non mi lamento. Dormo di più e sono anche più grasso. Riscopro le gioie del focolare domestico…
-E anche quelle del talamo?- ridacchiò bonariamente Adele -Ah, Cesare, ricordo ancora la tua cena d’addio… Tutte eravamo per te e tu dimostravi quattordici anni mentre leggevi la nostra lettera…Le gioie ti ringiovaniscono…- e gli occhi di Adele s’inumidirono.
-A proposito di lettere…tu sicuramente mi potrai svelare l’arcano…Da chi di voi è partita l’idea di mandare la lettera in Provveditorato?- e la fissò deciso.
Finalmente stava per sapere.
- Di quale lettera parli, scusa ?-
- Ma sì, di quella inviata al Dirigente Provinciale…
- Ah, guarda, Cesare, io cado dalle nuvole- poi, dopo due secondi di pausa ispirata, - forse dovresti chiederlo agli insegnanti delle Medie-
-Già fatto…- a Cesare salì alle labbra la parola di Cambronne.


Nel mese di luglio a Ivrea si svolgevano molte manifestazioni.
L’ex preside Riva venne incaricato dalla Pro Loco di presentare il volume di un suo antenato, autore di poesie in dialetto canavesano: “Dal grappolo alla bottiglia”. Il mondo che usciva da quelle garbate rime era quello della buona e tranquilla borghesia di provincia che a Riva piaceva tanto, così come gli piacevano le poesie di Gozzano.
Spiegò al pubblico di amatori, convenuto nella sala, il significato dell’opera del parente lontano e la storia del dialetto canavese nel corso dei secoli. La sua loquela facile ed elegante, la dizione in perfetta aderenza con i suoni vernacolari sedussero gli spettatori, - lui aveva già affascinato per anni il suo corpo insegnanti-, tanto che le signore rimasero in estasi ad ascoltarlo “… purtroppo non si conosce più il dialetto e non lo si sa nemmeno scrivere ma non è segno di progresso questo. E’ un mondo di autenticità e di ricchezza espressiva al pari del latino quello che si perde”.

Cesare si accomiatò per raggiungere la Audi parcheggiata in un vicolo.
Si trovava ormai vicino alla vettura, quando udì una voce alle spalle.
– Preside Riva, buonasera!
Si voltò di scatto e vide di fronte a sé Milena. L’applicata di segreteria, che aveva seguito per tanti anni come una pallida ombra tutte le pratiche d’ufficio.
-Ah, Milena…c’eri anche tu !?
-Sì, Preside, e ho seguito tutto il suo intervento…è stato affascinante, come sempre.
-Milena, grazie…la conoscenza è nutrimento, lo so,…ma sei a piedi? Vuoi un passaggio?
-No, ho la macchina qui vicino- ondeggiò un poco la gonna a pieghe mentre il passo veniva articolato lungo, per evitare la grata di un tombino.
A Cesare quel movimento ricordò, neanche a dirlo, i passi della Monferrina.
-Preside Riva, io…- disse Milena, mentre il suo viso si faceva più lungo sotto il chiarore del lampione - lo sa ?
Cesare la guardò interrogativo.
-Preside Riva– ripeté lei daccapo.
“Spicciati , Milena mia” trasmise telepaticamente Cesare , colto da un improvviso colpo di sonno.
-Quella lettera…
-Quale lettera?…- Cesare non afferrava.
- La lettera al Provveditore… sa? Sono stata io a mandarla…- e balbettando un po', guardandolo di sotto in su - forse l’aveva sospettato, non è vero?- lo fissò ingenua, come una bambina, mentre le ombre della notte scavavano buchi sulla sua faccia magra.
-Ah, davvero!?-, Riva mostrò all’applicata di segreteria un bel sorriso -Allora, non sono stati gli insegnanti!?- aggiunse.
- No,- fece lei, e gli occhi le brillavano- s o n o s t a t a i o !
- Grazie Milena, mi hai commosso. Ma perché?…
- Come perché? Perché non volevo che andasse via … Peccato che non sia riuscita a farla restare…
E si rattristò.
-Milena, mi lasci senza parole…
Milena sorrise, scoprendo una fila di denti che non avevano conosciuto i benefici dell’ortodonzia.
Era la donna provocazione del Berni?
No, Cesare vide di fronte a sé la Signorina Felicita di Gozzano e provò per lei una tenerezza infinita…





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