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Semplice e arcano

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 29/04/2018 14:21:48

SEMPLICE E ARCANO

Sale con gli altri sul pullman e prende posto in prima fila accanto al finestrino. Il cantuccio gli piace: s'immergerà nei pensieri e le ore voleranno.
Dall’alto del mezzo guarda distratto il movimento ripetuto delle macchine sulla scacchiera: il nastro grigio induce al sonno.
Con le palpebre abbassate si culla nel chiacchiericcio confuso, nella nenia interrotta a tratti dal soprassalto improvviso di qualche alunno che lo chiama. Le risate delle colleghe scandiscono il tempo.
La Costa Azzurra, assolata e ventosa, corre sull’immensità del mare spalancando alla vista strapiombi di scogliere.
Elegante e austero, misterioso e composito il Palazzo dei Papi dà su un parco in altura da cui si può ammirare il fiume Rodano e un isolotto lontano.
La giravolta nelle stanze morte è uno strascicare i piedi sugli impiantiti.
Alla sera, dopo il pasto insipido, accoglie paziente i rovelli giovanili su un piano di cristallo che moltiplica i riflessi di fiammelle tremolanti. E sublima risposte con poetico afflato.
La notte breve precede l’ arrivo in Spagna.
Dimentica subito la facciata dell’ hotel e la sistemazione nelle camere ed è col cuore e la leggerezza dello spirito alla spiaggia di Lloret de Mar.
Uno squarcio di Sicilia.
Verso Ovest, in cima a una collinetta, le rovine di un antico maniero riproducono il castello di Milazzo. Su radi scogli garrisce lo stormo dei gabbiani.
Un gruppo di giovani tedeschi, nonostante la stagione ancora fredda, immerge nelle acque del Mediterraneo i corpi di muscoli scolpiti.
I ragazzi camminano sulla sabbia granulosa, sollevando una polvere sottile che s’attacca alle scarpe. Poi, si distribuiscono lungo la caletta libera da bagnanti, in mobili onde umane, ora allargandosi ora restringendosi, come nel mantice di una fisarmonica scordata.
Lui vorrebbe fermare il tempo. Rimanere nella contemplazione estatica di questi attimi che niente danno di straordinario se non il senso dell’evasione e la familiarità del ricordo.
Vede l’esile corpo del bambino, al mare con i nonni, correre dietro a una piccola palla che un piede maldestro ha fatto rotolare lungo la battigia in pendenza. Lui l’ha afferrata con rabbia feroce, buttandosi in acqua e, per la prima volta, si è affacciato sulla distesa blu e profonda che ha portato qualche parente a trovare fortuna in terre lontane.
Adesso i corpi dei ragazzi si sono disposti in una fila lunga, quasi retta, parallela al bagnasciuga, componendo l’immagine di una tastiera.
Sente il desiderio di coprirli in questa posa con un drappo a colori vivaci; desidera sintonizzare il ritmo della risacca con lo stridio dei gabbiani. Chiedere di irrorare emozioni.
Mare e cielo, uniti nel piccolo lembo di costa, amplificheranno la forza degli accordi..
Ma arriva una ventata . La fila si rompe, bagnata da un getto improvviso di acqua salmastra. I tasti si disperdono scomposti in suoni e forme disarticolate.

Si ritorna in albergo. E’ l’ ora di cena.
I bocconi di pesce spada grigliato abbracciano lo stomaco. La torta alle noci ristora.
Nella grande mensa semi interrata, sotto le luci un po’ stordenti e languide dei lampadari, in un impulso di abbandono o di condivisione, lui si lascia andare alle confidenze. Narra con rattenute parole i trascorsi di una vita sofferta.
Della educazione affidata ai nonni.
Di un matrimonio precoce e spezzato.
Dei figli realizzati e felici in un’altra città.
Della musica e della poesia.
Del viso e dei capelli lunghi.
Da trovatore.
Novello e antico.
Semplice e arcano.
Racconta se stesso con una trasparenza quasi commovente, appoggiando per un attimo i pesanti fardelli sull’ educata compostezza e lo spirito partecipe dei compagni di viaggio.
Segue la scorrazzata sul lungomare insieme agli alunni che vociano e saltellano.
Poi, ancora la notte breve e un’alba lattiginosa.
Ancora il pullman: direzione Barcellona. Città antica, navi da carico in scalo nel suo grande porto.
Davanti alla fantasmagoria della Sagrada Familia il gruppo degli studenti si raccoglie ordinato per osservare l’originalità del prospetto, i simboli della cristianità e i doni della natura elevati al cielo in votiva offerta.
Lui guarda verso l’alto la figura di Cristo, Risorto e Presente. Vorrebbe raggiungere la cima del Tempio Espiatorio, rannicchiarsi in una raggiera di guglia dentro le forme curve che imitano la natura e sentirsi filo d’erba, grano di sale, chicco di frumento.
Poi, un ragazzo gli porge un flauto, un piccolo flauto bianco.
Lui accosta l’imboccatura alle labbra e ne trae suoni che paiono celesti.
Gli altri , felici, accompagnano col battito delle mani la melodia delle sue note.
Rapiti.
Per sempre.

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