Pubblicato il 10/05/2008
Sull’ultimo numero di New Scientist diversi scienziati raccontano qual è il libro che ha cambiato loro la vita. Si scopre così che se per Oliver Sacks è stato il molto prevedibile “L’uomo che non dimenticava nulla” del neuropsicologo russo Alexander Luria, per Vilayanur Ramachandran è stato “The art of soluble” del Premio Nobel per la fisiologia Peter Medawar. “Ho capito che la scienza era una grande, romantica avventura” dice il neuroscienziato indiano. I libri possono davvero cambiare la vita, nelle grandi e nelle piccole cose: la primatologa Jane Goodall, per esempio, ha scelto “Liberazione animale” del filosofo Peter Singer, uno dei pionieri dei diritti degli animali, perché “appena lo lessi divenni istantaneamente vegetariana”. Il fisico teorico e divulgatore Michio Kaku ha tutta la mia simpatia, avendo scelto “La trilogia della Fondazione” di Asimov, mentre il suo collega Sean Carroll preferisce “Uno, due, tre…infinito”, un superclassico (è del 1947) del fisico russo George Gamow. “Sono una di quelle persone fortunate che sapeva già a 10 anni che cosa voleva fare nella vita” dice Carroll. “Cosa ne sapeva un bambino di fisica o cosmologia? Sapeva, perché aveva letto il libro giusto”. C’è chi su un libro letto da bambina ha fondato tutta la propria vita di scienziata. È la psicologa dello sviluppo Alison Gopnik, la cui teoria dell’apprendimento infantile deriva dal suo amore per “Alice nel paese delle meraviglie”: nell’intervista sostiene di aver abbandonato una carriera di filosofa chomskiana per studiare le basi dell’apprendimento “perché ero colpita dalla cecità degli adulti, specialmente dalla loro incapacità di riconoscere che i bambini sono molto più intelligenti di loro”. Il gioco, da vera bulimica della lettura quale sono, mi piace molto: qualche giorno fa, parlando di neuroni specchio in una trasmissione scientifica della TV svizzera mi è venuto spontaneo ricordare che l’uomo è l’unico essere vivente in grado di provare emozioni non solo vedendo un suo simile che le prova, ma anche leggendo, cioè sentendo raccontare (o solo evocare) le emozioni con le parole. Allora ve lo rilancio e comicio io stessa. Il libro che mi ha cambiato la vita è stato “La peste” di Albert Camus. Dovevo avere 14 o 15 anni, quando lo lessi, e anch’io, fin da piccola, sapevo cosa volevo fare: “il dottore”. Ma questo libro mi ha illuminata: c’era dentro tutto, la vita, la morte, la lotta contro la malattia, la paura, la caducità dell’uomo, l’altruismo e l’egoismo. Per anni il dottor Rieux è stato il mio personale riferimento etico nel mondo della medicina. Da adulta ho capito altre cose di questo grande libro, e in particolare la sua potenza metaforica, ma da adolescente, pur restando in superficie, mi ha davvero cambiato la vita, dando una consistenza emotiva al mio amore per la medicina (e forse anche per il genere umano).
Da: http://lescienze.espresso.repubblica.it/
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