'Melodien' ..la musica di Dio.
La mano s'arrestò sull’orlo del calamaio in attesa che un’ultima goccia d’inchiostro rosso vermiglio colasse giù dallo stilo, prima di spostarsi sulla pagina miniata del ‘Libro delle Ore’ d'epoca medievale che, strutturato sull’esempio del più antico ‘Antiphonarium Cento’ voluto da Gregorio Magno, era legato all’altare di San Pietro con una catena d’oro, trafugato in seguito durante il Sacco di Roma.
Una così particolare attenzione permise al venerando Ildegardo addetto al restauro, di non sprecare neppure una piccola quantità del prezioso contenuto del calamaio che le mani esperte di un alchimista di veleni, aveva trasformato per lui in inchiostro prezioso, col quale l’amanuense s’apprestava a vergare le lettere nella medesima calligrafia di chi, molto tempo addietro, le aveva stilate.
Un lavoro che richiedeva una meticolosa preparazione e certosina pazienza nel rispetto dei tempi di applicazione e asciugatura dell’inchiostro sulla pergamena, e di porvi particolare attenzione nel ricalcare e talvolta riscrivere le notazioni musicali, lì dove risultavano sbiadite o del tutto mancanti, secondo una trascrizione laboriosa perseguita sulla tradizione orale più antica, solo più tardi confluita nel canto ‘gregoriano’.
Fu infatti durante una pausa del canto che s’udiva in sottofondo che il venerando Ildegardo s’apprestò a portare a termine il suo lavoro riponendo lo stilo, dopo averlo asciugato con lo strofinaccio d’uso, nella bella scatola in legno con intarsi in avorio, per dedicarsi alla preghiera nell’Ora Sesta. Mai e poi mai avrebbe mancato il Vespro che, officiato all’imbrunire, raccoglieva tutti i confratelli nella Cantoria, luogo deputato onde l’epifania s’attestava come manifestazione del ‘verbo’ incarnato.
Un’attesa la sua, pari alla pronunziazione di un ‘carme’ che l’anziano padre aveva trascritto lungo tutta la vita, narrato e cantato fin da tempo in cui, ancora in fasce, venne trovato dal francescano Onorio, abbandonato alle acque del Lago di Costanza, e accolto amorevolmente dalla Confraternita dell’Abbazia di San Gallo, che proprio in quel giorno il frate si recava a visitare.
Tutt’uno ormai coi libri della famosa biblioteca che in essa trovava degna dimora, Ildegardo poteva dire di conoscerne una buona parte e molti di averli letti e studiati «..per suo diletto e per la gloria di Dio», diceva. Per quanto la ‘gloria’ fosse davvero lunga dall’arrivare, la sua attesa durava ormai da quasi un secolo, o giù di lì, che quasi non ricordava più neppure lui da quando. La sua stanchezza, nell’attesa di una possibile ‘gloria’ finale, si abbandonava ormai alla certezza sovrumana del riscatto che stava pagando quale fine ultimo della sua pena. E dire che gli anni sì, quelli gli pesavano addosso, e solo trovava giovamento agli acciacchi dell’età, nella forma ispirata e aulica del ‘gregoriano’ cui il vecchio s’ispirava nelle interminabili ore meditative cui sottoponeva la sua persona; come di un cilicio che gli stringesse costantemente il cuore.
«L’impronta di lode e di ringraziamento cui si dà voce in questo canto, trae motivo dalla grazia operata nelle anime dei giusti. Quella grazia che, compenetrata alla melodia, si effonde supplichevole nella piena forma del ‘canto’ e che rappresenta il culmine della celebrazione nella solenne espressione della gratitudine, lasciandone solo immaginare lo splendore» anadava spiegando ai novizi l'Abate durante la breve interruzione del ‘canto’, solo appena disturbato dallo sguardo investigatore dell’uomo che lo attendeva in silenzio sull’entrata della Cantoria.
Immerso in una sorta di completo distacco che poteva sembrare meditativo, Eustache Balman, da poco giunto all’Abbazia di San Gallo sulla strada che conduce al Lago di Costanza per una oscura missione diplomatica, ascoltava basito la tensione che scaturiva dal ‘canto’, nel modo tipico di colui che, non avendo fede, rifuggiva dall’espressione concreta e diretta del sentimento che lo travolgeva, come di chi, testimone di qualcosa di inenarrabile, rendeva visibile solo la propria ombra.
«Pur nella mutevolezza del suo esaltante divenire, l’andamento “piano e grave che ondeggia mollemente come una decorazione che si genera all’infinito, il ‘gregoriano’ rispecchia, con naturalezza unica e inconfondibile, il pieno sentimento religioso che l’accompagna, non le pare monsieur …?», chiese l’Abate andandogli incontro. «Balman, Eustache Balman, molto lieto di fare la sua conoscenza.»
«Oh si, certamente, tuttavia ogni cosa va misurata col senno di chi conosce l’altezza dell’infinito, in questo caso io, e la profondità dell’oblio, riferito non necessariamente a lei’ ma, in ogni caso, da usarsi prima di emettere un giudizio affrettato sulla forma e sulla correttezza, del ‘canto’ religioso, intendo». «Comprendo … anche se ha tutta l’aria di essere una sciarada senza senso», azzardò Eustache.
«Affatto Monsieur Balman, direi un arcano, piuttosto. Lei sa a cosa mi riferisco, inseguire una qual cosa che dev’essere cercata senza sapere esattamente di che si tratta, non è cosa da poco». «Il cui segreto immagino, è qui conservato gelosamente?», chiese Eustache fingendo una vaga competenza della materia del contendere. «Il semplice intuire tale condizione è di per sé principio di espiazione. Come può ben capire, basta poco per attingere alla grandezza dello spirito, ma adesso voglia scusarmi ancora per qualche minuto, il tempo di terminare quanto ho incominciato. Come si dice: l’attesa può incanutire le menti, anche le più eccelse, e a lungo andare porta all’animosità», chiarì l’Abate, apprestandosi a condurre la ripresa del Vespro con l’intonare il ‘Magnificat’ conclusivo.
“Magnificat, Magnificat, Magnificat anima mea Dominum …”, salmodiavano i novizi raccolti sotto le volte gotiche della Cantoria, che le loro voci salirono fino al cielo. «‘Ora et labora’, questo è il nostro motto, ma eccomi di nuovo a lei monsieur Balman, ora possiamo ritirarci nel mio studiolo privato per discutere di ogni cosa le stia a cuore, le faccio strada.» «La seguo …»
«Come lei saprà il messaggio del ‘gregoriano’ è interiore, implica la rinuncia a qualsiasi resistenza materiale, per cui anche colui che non crede, che cioè è ‘povero secondo lo spirito’, conosce infine la beatitudine, d’innanzi all’esperienza del dolore e della malvagità. È come l’orma impressa sul terreno di colui che non ha fede, la cui vuota traccia rifugge dall’espressione concreta e diretta del sentimento, rendendone visibile solo l’ombra».
«Se ho ben compreso non ci si può lasciar vivere in modo inadeguato, al che, altro non vedo se non il segno di un'unica dimensione possibile, ma quanto accade nel mondo non mi aiuta affatto a cambiare il mio punto di vista sull’argomento, resto piuttosto scettico», confessò Eustache in un momento di meditata circostanza, intuendo l’allusiva morale che l’Abate aveva pensato bene d’impartirgli.
«Non vedo come ciò sia possibile, quando a guidarla fin qui è stata la mente di un eletto, di un testimone oculare che si muove nell’ombra della sua stessa ombra. E che le permette di rapportarsi in ogni momento con quella che per definizione è la verità superiore, l’Organizzazione Entreprise intendo, per conto della quale lei opera, o sbaglio?»
«Dunque lei sa chi sono, probabilmente ha dei buoni referenti e devo ammettere che le informazioni in suo possesso sono esatte», confermò Eustache, incredulo che quanto stava accadendo tra loro non fosse poi così casuale, alquanto curioso di sapere come l’Abate fosse a conoscenza della sua missione. «Non ne ho avuto bisogno, lo stemma sull’anello che porta al dito parla per lei, ed è quello del defunto Conte Jean-Louis De Marivaux, nostro benefattore nonché mecenate, che Dio lo abbia in gloria! Ma la prego si accomodi».
«Ciò che le sfugge è il perché sono qui, e chissà, forse il ‘gregoriano’ gioca la sua parte». «Che cosa intende dire monsieur Balman?» «Niente di più di ciò che ho detto. Prendiamo ad esempio questo ‘cantare’ in cui vi cimentate con tanto ardore, come lo spiegherebbe a un profano come me?», lo interrogò Eustache, sulla falsariga ironica dimostrata fin dall’inizio dall’Abate, non senza una certa dose di sfacciata sicurezza.
«Non del canto si tratta, quanto di riordinare la trascrizione ritenuta autentica di testi recuperati in diversi monasteri attivi in epoca medievale quella che si ritiene la tradizione orale, lì dove la trasmissione si è conservata integra, dei canti contenuti nel più antico ‘Antiphonarium Cento’, andato distrutto, del quale lei certamente avrà sentito parlare.»
«Non esattamente, tuttavia mi sfugge come avviene il recupero di certi libercoli, manoscritti, incunaboli ecc. senza la previa autorizzazione dei rispettivi proprietari? Perché è questo il punto chiave della mia visita a San Gallo. «Ciò che facciamo qui è sì recuperare, d’ovunque essi si trovino,i testi che riteniamo importanti, soprattutto di copiarne i contenuti, per poi depositarli presso …» «Già che viene al discorso, potrebbe dirmi come siete venuti in possesso del ‘Libro delle Ore’ custodito nell’Abbazia di Reichenau? O forse è chiedere troppo?»
«Quella di Reichenau era l’unica Abbazia benedettina a possedere l'originale di un canto ripreso dal repertorio gallicano già da tempo precluso dal Concilio alla liturgia.» «Abate, lei non sta rispondendo alla mia domanda.» «Forse no, ma lei non opera a nome della Santa Inquisizione, vero?» «Certo che no, tuttavia mi preme farle notare che ha detto ‘precluso’, e per quale ragione, se posso permettermi di chiederle?» «Fin troppo, visto che l’incarico assunto dalla nostra Abbazia è quello di conservare il ‘Libro’ nella sua veste originaria e tenerlo fuori dalla portata dei giovani cantori».
«Non prendiamoci per il naso Abate, lei sa meglio di me che il ‘Libro’ è stato rubato a quella Abbazia, cui il defunto Conte De Marivaux l’aveva donato perché vi fosse custodito, quindi per quale ragione …?», tuonò Eustache spazientito. «Mi creda, non c’era altro modo che farlo rubare a causa dell’ostinazione del suo Priore a sentire ragioni. Un giorno forse gli verrà restituito, ma non senza un preciso ordine che provenga dalla Chiesa di Roma, e comunque …» «Comunque …?» «Comunque privo del suddetto ‘Canto’ che invece il Priore di Reichenau si ostinava a far cantare ai novizi all’interno del proprio monastero».
«Mi chiedo cosa mai possa contenere un canto di così pericoloso da precludere l’incolumità dei fedeli?» «Alquanto nefasto, direi, se la Chiesa di Roma ha ordinato di vietarlo.» «Certamente qualcosa di nefasto, non riesce a dirmi altro. O forse lei mi vuole dire...» «Il fatto che io stesso abbia chiesto di incontrarla non è per caso, tantomeno una coincidenza, non crede?», ribatté Eustache.
«Fa differenza monsieur Balman? Siamo qui entrambi, ma vedo che si ostina a non credere nella divina provvidenza. Probabilmente era scritto che un giorno avrebbe conosciuto la misericordia celeste. Non è mai una semplice coincidenza, semmai una chiara volontà divina». «Mi dispiace, ma non arrivo a comprendere più di tanto», confessò Eustache.
«La presenza della misericordia Celeste è da considerarsi contrappeso alla presenza dell’intransigenza Infernale. Se si sceglie di vivere senza fede è un po’ come morire un poco alla volta, come dire, mostrare la propria impotenza. Perché scappare allora, per nascondersi all’Inferno? Nessuno è in grado di nascondere tanto a lungo le proprie malefatte», ribadì l’Abate, non senza una certa ironia. «No, è vero, alla fin fine ci si nasconde da se stessi. Mi professo colpevole d’aver bruciato i miei giorni come legna da ardere, ridotti a date nude fatte di numeri e cenere, inservibili per qualsiasi inventario di questa incredibile realtà».
«Credo fermamente che la sua ostinazione monsieur Balman di voler arrivare fino in fondo alle cose a prescindere dal condizionamento degli eventi, le abbia creato e possa ancora crearle un’infinità di problemi». «Se la può interessare, personalmente credo che il nostro spirito sia in grado di produrre segni, d’inviare segnali attraverso l’etere, d’accumulare forze che permangono libere dal dubbio e orgogliose nel suo rifiuto, a questo credo», affermò convinto Eustache. «Come ammettere l’esistenza del soprannaturale, mio caro Balman. In fondo crediamo nella stessa cosa».
«Lei lo dice!». «Non è poi così preoccupante, per sua fortuna, dove non arriva la mano dell’uomo, talvolta giunge la mano del Signore a sistemare le cose, basta saper aspettare. C’è nel saper attendere qualcosa della ‘sacra aspettanza’ che in fondo la rapporta col divino attendere la fine, che è poi il principio di tutte le cose. Converrà con me che, almeno per questa volta, può credere nell’esistenza di una verità superiore, monsieur Balman». «Quale, ad esempio, che per venire in possesso di un ‘Libro’ che, per quanto nefasto possa essere, non si è badato dall’uccidere un uomo, e di chiesa per giunta».
«È questa una blasfemia senza riguardi», ribatté l'Abate. «No, è la sacrosanta verità, il Priore di Reichenau è stato ritrovato morto affogato nel Lago di Costanza?» «Non è così, il Priore è partito per una lunga missione in Medio Oriente e non sarà di ritorno prima del prossimo mese». «È così, mi creda. La Gendarmerie di Costanza ha confermato alla Santa Sede il suo ritrovamento, chiedendo però che la cosa non si risapesse in giro. Ma, mi dica Abate, a lei chi ha raccontato della missione del Priore in Medio Oriente?»
«Lei dunque non è qui per recuperare il ‘Libro’ c’è dell’altro, è così? Lo supponevo fin dal primo momento, mi è bastato incrociare il suo sguardo per comprendere qche qualcosa non andava». «Non solo, è evidente, semmai è lei che mi dovrebbe delle risposte, non le pare?» «Veniamo a noi monsieur Balman. Sappia che non intendo in alcun modo interferire sulle modalità di portare avanti l’importante missione affidatagli. È di sua esclusiva pertinenza, ma se lei intende farmi dire quanto ricevuto in confessione, sappia fin d’ora che non mi è dato rivelarlo».
«Sappiamo entrambi che da parte sua occorre mantenere una certa riservatezza, tuttavia …» «Non esiste alcun tuttavia monsieur Balman … ‘Lathe biosas’, diceva Epicuro, e con queste parole si riferiva soprattutto al vivere nell’ombra, nascosto agli intrecci ingarbugliati del potere».
«Lei dunque sa, e mi aspetto un contributo fattivo nella ricerca che sto portando avanti. Ne vale il lascito testamentario del defunto Conte De Marivaux, che vede questa Abbazia al primo posto del suo lascito testamentario. Il mio dire tuttavia, era riferito al fatto che il ‘Libro delle Ore’ deve tornare immediatamente e intonso al priorato di Reichenau, così com'era nelle decisioni del Conte>.
«Forse lei potrebbe dirmi, chi rappresenta il vero pericolo dal quale mi devo difendere qui dentro?» «Tutti e nessuno in particolare. Sono propenso a pensare che il lascito testamentario del signor Conte De Marivaux accomuni molti interessi che, economicamente parlando, fanno gola a diversi fonti di potere nazionalistici, mentre per noi il denaro del nostro mecenate è sempre stato e spero lo sarà ancora solo fonte di sostentamento fisico e spirituale».
«Devo credere dunque che in seguito il lascito verrà speso adeguatamente e opportunamente per quelle iniziative culturali che il signor Conte a suo tempo ha voluto onorare. Me lo conferma sulla sua parola di Abate?» «Certamente, e ne andrò sempre onorato!» «Non è forse grazie al lascito del signor Conte che il vostro scriptorium acquista quanto è necessario per la copiatura degli incunaboli e la diffusione, presso le altre abbazie, dei libri adibiti alla sacra liturgia?» «Indiscutibilmente, e continuerà a esserlo, sempre».
«Dunque che bisogno c’era di derubare la biblioteca di Reichenau del ‘Libro delle Ore’, quando avreste potuto semplicemente averlo in prestito e copiarlo?» «Chi le ha riferito tutto questo?» «Me lo sta confermando lei in questo momento Abate.» «Sono responsabile della tutela di chi ha commesso questo atto increscioso.» «È quindi stato individuato un colpevole?» «Si tratta di una richiesta pervenuta direttamente dall’Archivio Segreto Vaticano per la tutela dei principi della fede.» «Si spieghi meglio, le sto chiedendo di mettermi in condizione di capire. Lei mi sta dicendo che le è stato ordinato inoltre di far sparire il Priore di Reichenau?»
«Non posso risponderle. Ma la prego, venga con me, voglio presentarle una persona», aggiunse improvviso l’Abate avendo trovato una escamotage che gli permetteva di non rivelare la fonte della sua conoscenza, nel mentre faceva strada a Eustache attraverso le numerose sale del Monastero attiguo all’Abbazia.
«Certamente il venerando Ildegardo potrà spiegarle meglio di me o, forse, data la sua ostinazione di persona retta, non le dirà nulla di nulla. E chissà, magari potrebbe intuire lei stesso monsieur Balman quali potrebbero essere le ragioni nascoste. La porto da lui. Si armi di santa pazienza poiché è molto vecchio e suscettibile, e anche un po’ sordo", aggiunse l'Abate invitando Eustache a entrare nello Scriptorium di San Gallo, e che a ragione era ritenuto il più vasto e meglio conservato al mondo.
«Venerando padre, c’è qui una persona che vuole ossequiarla. La lascio in sua compagnia Monsieur Balman, sarò lieto di riprendere il nostro discorso più tardi.» «Le porgo i miei rispettosi omaggi venerando padre, la sua notorietà nell’ambito della copiatura degli antichi codici la precede ormai, e non le nascondo la mia curiosità di vederla al lavoro, ché in questo specifico campo sono davvero ai primi approcci», finse abilmente come suo solito Eustache, che non ha mai visto un codice in vita sua.
«Si da il caso ch'io stia lavorando a una copia rarissima di un ‘Libro delle Ore’ che Notker Balbulus, cosiddetto per la sua balbuzie, riteneva un originale», esordisce il venerabile mostrandogli la preziosa copia miniata che tiene aperta sullo scrittoio.
«E non lo è?», chiese Eustache sbalordito, finalmente comprendendo la ragione di tale contendere. «O si, ma erroneamente si deve a lui l’inserimento nel ‘Libro delle Ore’, di una melodia medievale di più antica tradizione e rinomanza, la “Media Vita”, entrata solo in un secondo tempo a farne parte, e non si conosce il perché. A far parte del cosiddetto ‘canto romano’ intendo. Questa melodia è davvero un canto ecclesiastico bellissimo, al quale da secoli si attribuisce potenza miracolosa …» «Non oso crederlo. Oh, mi scusi, non intendevo dire …», si riprese Eustache intuendo di aver fatto una terribile gaffe.
«In proposito si narra che nel lontano 1263, l’Arcivescovo di Treviri nominò Abate del Monastero di San Matteo un certo Guglielmo contro il volere dei monaci. E quando i monaci, prosternatisi fino a terra recitarono la “Media Vita” insieme ad altre orazioni, con la speranza di ottenere protezione contro l’Abate a loro imposto, questi di lì a poco morì.» «Davvero poté questo … una ragione sufficiente per cui …» «Per cui il Concilio di Colonia del 1316 ne proibì l’uso senza il previo permesso del Vescovo, e che forse è anche la ragione per cui ora mi si chiede di estrapolarlo, senza danneggiare il manoscritto originale, al quale appunto sto lavorando».
«Perché, cos’è che in esso contenuto di così straordinario, in un senso o nell’altro?» «Vede, questa melodia, e la melodia più in generale, è stata spesso definita l’arte spirituale per eccellenza, perché va diretta all’essenza, al nucleo primordiale, alla ragione prima della realtà oggettiva che la segue. Chi l’ascolta viene a trovarsi circondato da forze ambigue e incontrollabili, da spiriti impalpabili, da un agitarsi di ombre come in un bosco. Ombre che, in un crescendo inarrestabile, giungono a suscitare nell’intimo inquiete incrinature, prime avvisaglie di un tragico destino che si trascina nei gorghi dell’ignoto».
«È forse per questo trascinarsi nell’avvisaglia del proprio destino che la sua determinata volontà di riscattare qualcuno dall’ombra, che spinse la Chiesa a vietarlo?» «Non mi è dato sapere», rispose sospettoso il venerabile Ildegardo. «Suvvia, ho appreso pocanzi che lei conosceva bene il Conte de Marivaux, e per questo è in grado di indicarmi dove trovare la chiave del segreto che in esso si nasconde. Glielo chiedo per il suo bene, e per la pace che implora la sua anima», chiese prostrato Eustache.
«In alcun caso mi è possibile rivelare ciò che deve rimanere segreto. Posso soltanto dire che quello che lei cerca così audacemente finirà per essere conservato al chiuso dell’Archivio Segreto Vaticano, cui sono affidati ogni barlume di scienza e di eternità, quella che in qualche modo può definirsi la ‘sovrumana memoria’». «E ciò ch’è ordinato non può essere svelato, neppure quando sopraggiunge la morte a porre riparo a quanto può essere accaduto, è così reverendo padre?»
«Solo in parte, ma continua a esserci un aspetto che mi è oscuro … Vede, talvolta l’assenza non è che il modo per essere presente in spirito.» «Se le sembra lecito, vorrei capire l’assenza di chi, permetterebbe di esserle presente con lo spirito?» «Del Priore di Reichenau, ad esempio.» «Davvero lo detesta a tal punto per cui sarebbe giustificabile anche la sua morte?» «Di quale nefandezza mi si accusa?» «Nessuno la sta accusando, padre. A meno che lei non voglia assumersi la responsabilità della sparizione del ‘Libro delle Ore’ dalla Biblioteca di Reichenau, su cui sta lavorando. Vorrebbe raccontarmi come è arrivato fin qui?»
«Il Priore è partito per una lunga missione in Medio Oriente e non sappiamo ancora quando sarà di ritorno. Lui stesso lo ha dato a me, circa due settimane fa». «Il Priore di Reichenau è stato trovato morto non più di un mese fa nelle acque del lago di Costanza in circostanze oscure!» «Le sembro nelle possibilità fisiche di poter commettere un omicidio?» «Forse lei no venerando padre, ma potrebbe esserne il mandante, quello si! La Gendarmerie non ha ancora rilasciato un responso su come possa essere avvenuta la morte del Priore, ma sembra vi siano effrazioni da violenza».
«Ebbene ho aspettato tutta la vita questo momento e lei ora viene a interrompere quanto sono riuscito a realizzare …» «Capisco, è come mettere fine al disegno divino». «No, lei non può capire cosa può voler dire avere fra le mani il potere di questo ‘Canto’ che mi riscatta dalla pena d’essere al mondo, ‘peccatore tra i peccatori’, e la possibilità di potermi elevare a quel divino che lei adesso invoca senza conoscerlo …»
«La ‘Media Vita’ intende?» «Sì, nell’equilibrio finalmente raggiunto dell’espressione umana del cantare assurta alla perfezione del ‘gregoriano’. La febbrile estasi che questo ‘Canto’ rende all’anima di chi raggiunge l’enfasi transitoria che porta alla sublime visione del divino che è in noi. Ma adesso voglia scusarmi, per me si sta facendo tardi, è ora che riprenda il mio lavoro», disse padre Ildegardo scosso da un tremito che lo stravolgeva nel fisico e nell’anima.
«Temo che il suo lavoro sia finito qui venerando padre e con esso la sua tenace propensione all'onnipotenza. Il ‘Libro delle Ore’ tornerà con me alla Biblioteca di Reichenau questa sera stessa», inveì Eustache.
«Comprenda se non aggiungo altro, sono troppo vecchio, ho bisogno di riposo, tuttavia è bene che rammenti una cosa monsieur, io non l’ho mai incontrata, lei è figlio del diavolo!», concluse il venerando padre voltandogli le spalle con diniego. «La Gendarmerie di fatto darà seguito alla sua colpevolezza, se di colpevolezza si tratta, l’ha tradita la sua veemenza padre Ildegardo, l’aver confuso le date del suo incontro con il Priore di Reichenau. E magari spiegherà loro come è venuto in possesso del ‘Libro delle Ore’ di proprietà del Conte de Marivaux».
«Sempre che la Gendarmerie sappia gestire un’attesa lunga cento anni, come ha fatto il venerando Ildegardo?», intervenne l’Abate, apparso in quel momento sull’ingresso dello Scriptorium.
«Non s’illuda monsieur di farla franca neppure lei salverà il ‘Libro’ dalla sua fine», soggiunge l’anziano Ildegardo aprendo il prezioso codice miniato sulla ‘Media Vita’ e intonando i primi versi in Latinorum in cui erano scritti. Tutto il coro dei confratelli si aggiunge alla sua voce, sì che le volte risuonarono dell’aulico fervore del Gregoriano. L’Abate li osservò muti, basito per quella insolenza che offendeva il suo magistero e la Chiesa tutta. Una blasfemia di cui avrebbe dato spiegazione davanti a Dio e per la quale forse non avrebbe ottenuto redenzione.
«Venga via con me monsieur Balman, non vi faccia caso, deve comprendere, il vecchio Ildegardo è molto provato, le faccio strada. Abbiamo ancora qualcosa di cui parlare mi pare», lo invitò l’Abate, avviandosi verso la porta dello Scriptorium. «Certamente, ma non senza prima aver recuperato il ‘Libro delle Ore’», aggiunse Eustache, intenzionato a recuperare il Libro.
«Non lo tocchi monsieur o scaglierò contro di lei la mia maledizione», gli urlò contro il venerando Ildegardo, mentre il coro si taqque. «Ildegardo!», richiamò all’ordine l’Abate urlando. E la sua voce irruppe nel silenzio delle arcate simile al tuono che talvolta faceva tremare le vetrate. «Ti prego non farlo!», aggiunse poi l'Abate, nel vedere la mano tremante dell’anziano amanuense versare l’intero contenuto del calamaio sulla pagina miniata, lasciando colare l’inchiostro vermiglio giù dallo scrittorio fin sopra i suoi piedi nudi calzati dai sandali e con esso imbrattarsi le mani e il viso.
che improvvisamente s’accaglia in coaguli di sangue che lo trasformano in una maschera orrenda. Nulla poterono i confratelli accorsi che esterrefatti osservavano la scena, contro il micidiale veleno in esso contenuto che improvvisamente s'accaglia, se non di lasciare che il venerando padre, colto dal livore velenoso che lo devastava, emettesse un urlo straziante e si lasciasse cadere a terra.
Per il ‘Canto’ non ci fu scampo, le pagine della ‘Media Vita’ vennero dilaniate dallo stesso colore vermiglio che l’imbrattava. Ancora una volta la dedizione aveva dato i suoi frutti. Ad Eustache non rimase che salvare ciò che restava del 'Libro delle Ore' dalle fiamme dell’Inferno in cui il venerando Ildegardo pensava un giorno di veder bruciare tutto lo Scriptorium. Pochi resti miserevoli di un ‘Libro’ che da sempre era destinato a dissolversi in un addivenire senza memoria, e che forse, non avrebbe riscattato neppure lui dell’inavveduta accortezza d’investigatore.
«E io che pensavo a una qualche diceria diffamatoria della Chiesa di Roma?», affermò spergiuro Eustache. «Roma Caput Mundi!», esclamò l’Abate lanciando uno sguardo rivolto al cielo, sembrando non aver compreso la sottile ironia accusatoria di Eustache. «Sarà mia cura farle avere notizie non appena sarà completato il restauro del ‘Libro delle Ore’. Le assicuro che mi occuperò personalmente di restituirlo alla Biblioteca di Reichenau», soggiunge l’Abate alquanto sconsolato.
«Lei sa quanto è importante per me ricondurre al lascito patrimoniale di Reichenau quanto era nel desiderio testamentario del Conte, pertanto rimetto a lei ogni formalità di adempiere a questo consenso. Addio, dunque, ricorderò sempre con gratitudine la sua ospitale accoglienza», replicò mesto Eustache.
«È giunto il momento di salutarci monsieur Balman, torni pure a trovarci, saremo lieti di accoglierla in ogni momento lei voglia trovare nella redenzione l’aiuto del Signore», concluse l’Abate nel porgergli la mano.
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