“La Vita in pieno giorno…”
per Fausta Genziana Le Piane
Nitore e insieme freschezza, sintesi lirica ma al contempo fascinazione piena, radiosa; consueto, adorabile flusso poetico – e insieme inesorabile – e instancabile – contrappunto gnomico, meditata, argomentante orchestrazione di puro pensiero… Ecco le qualità più rare ed esigenti che sempre chiediamo, speriamo in un testo di poesia: speranzosi, però sempre o quasi delusi di non riuscire ad ottenerle…
Fausta Genziana Le Piane (che conosco da anni, e di cui profondamente stimo la qualità, la militanza stilistica, vorrei dire, oltreché umana – e poi la multiforme vena creativa) con Ostaggio della vallata,questa sua ultima brevissima, eppure assai ricca plaquette lirica, ci allieta e ci stupisce proprio nel centrare amabilmente il bersaglio citato: inseguendo, meritando, e infine sublimando un suo personalissimo, coltivato traguardo di sintesi ed eccellenza – di “Nudità” esemplare in anima e parola:
Senza più incanti,
senza più ombre.
La Vita in pieno giorno.
È una poesia che vale, conta – proprio per il suo perseguito e raggiunto traguardo di sincerità, ed insieme, per felice e consonante contrappunto, originalità. Oggi dispiega e fiorisce un canzoniere ritmato, brioso quanto rarefatto, come essiccato, distillato di gioia… Certo al sole e al vento di quella vallata della vita (ma anche plaga dell’anima, arduo e dantesco Purgatorio di redenzione, da salire avvolgendosi, arrotolandosi in cono e monte immenso d’esperienze), che ci tiene ogni giorno in ostaggio: o forse ci protegge, ci esilia ogni giorno dal male – il male ombra esatta del bene (scrissi in un mio verso!), buio che anch’esso ci appartiene, ci consola e prepara luce!…
Il male vissuto
non scivola via
– inconsapevole –
trasportato da
onde o cascate di fiume.
S’arresta
silenzioso
sì!
Sedimenta
in ansa lontana
ristagna
si rotola nella melma
cerca spine.
Marcisce.
Con una quantità minima ed elegante di parole, Fausta cerca spine e insieme le spunta, le toglie alla sua stessa carne, le neutralizza; insegue e raggiunge esiti assai ricchi e amplificanti, sfaccettati d’intenti… Che poi in passato (e forse ancora in futuro) abbia attinto a piene mani al rito romanzesco, pregno e passionato dei miti, del Mito – è ben altro discorso (libri fra poesia e prosa come gli Incontri con Medusa, 2000, che io fortemente prediligo con i suoi paesaggi urbani ed una altilenante, perfino ciclotimica – mi si passi il termine – “geografia fisica, ma anche umana e divina”, come scrisse Patrick Blandin; La notte per maschera, 2003; La luna nel piatto, 2004; sino a Gli steccati della mente del 2009, generosamente prefati da Italo Evangelisti – sono una dote preziosa, a tratti anche struggente, come il suo lirico “Fotografare”, ripensarsi):
Negativo di un amore
foto scattata a metà
finta nei colori
falsa nelle pose,
mentre l’istantanea
svanisce dietro l’obiettivo.
Ogni scrittore ha le sue giuste fasi, staremmo per dire: solari o lunari… E questa sua è oggi a togliere, a essenzializzare… Tutto però, ancora e sempre, Le rimane dentro, contride e intride, sazia o anche talvolta estenua d’un lirismo sacrosanto, ordinato, luminoso, anzi ancor di più: lucido.
Giacché e checché se ne dica, la vera poesia ha bisogno di lucidità – insomma di tutto fuorché dello scombiccherato, parodiato e sciagurato disordine “romantico” (per fortuna, oramai, démodé)!…
Non ho più corpo
ma anima lucente
mentre sul lago dei pini
intreccio ginestre
per i tuoi silenzi
e
ti regalo
il giallo delle piccole emozioni.
E davvero è importante, pur nella varietà e sfaccettatura di temi, o comunque di rifrangenze, la sostanziale coerenza di fondo dell’ordito stilistico, e insieme della sua ricerca espressiva, nonché del progetto lirico…
Ci pensavo appunto l’altro giorno, ripercorrendo di gran carriera e come sorvolando, brevissimamente, gli interi secoli sottesi, infusi come tepido nettare nella cara raccolta dei 106 haiku a cura di Elena Dal Pra (Mondadori “I Miti”, 1999).
Ed ecco il tardo ’600 del divino sempre gemmante Matsuo Bashō:
qui
raggiungono il mio occhio
solo cose fresche
Poi il ’700 fulgido e pastoso di Yosa Buson:
sera di primavera:
la fiamma passa
di lume in lume
Ancora un ’800 nostalgico e suadente, con Kobayashi Issa:
l’allodola
del mio villaggio: non la vedo,
ma so che canta
Finalmente, un ’900 che appena si annuncia e lampeggia, nella breve parabola di Masaoka Shiki:
convalescenza:
stancarsi gli occhi
contemplando le rose
Ora è fin troppo ovvio che le brevi poesie – il minimo eppur struggente canzoniere, ripetiamo,di Fausta – non hanno propriamente a che fare né col genere né col metodo dell’haiku… Eppure resta e ferve un’eleganza di fondo (Italo aggiungeva anche “una sensualità diffusa e soffusa; fisica e mentale”), una patina di quieta, calibrata saggezza che ovunque le guida, le presiede, e diremmo proprio le motiva – stancando forse anche i suoi occhi, e meritatamente, a contemplare (incarnare?) rose:
Aspettare il sole.
Il pennello dell’alba
tarda a colorare di bianco
le nuvole:
non si farà giorno presto.
“Ai tempi antichi dell’arte/” – intonava una celebre poesia di H. Longfellow, The Builders – “i costruttori cesellavano con la massima cura / ogni particolare minuto e invisibile / perché gli dèi sono dappertutto”… L’ultimo verso, in inglese suona: “For the gods see everywhere”, “Perché gli dèi vedono dappertutto”…
Fausta Genziana Delle Piane cesella e costruisce versi con la massima cura: ogni particolare minuto e invisibile: facile e dolce, verificarlo, rendersene simpateticamente conto…
… giochi la tua solitaria partita …
… custodisci le verità insondabili …
… donna ti crocifiggi alla luce …
… piedi nell’acqua e solide radici …
… dondolandoti tra le stagioni …
«“La saggezza è grigia”. Ma la vita e la religione sono piene di colori.» meditava Ludwig Wittgenstein in pieno 1947… La filosofia non ha o prevede tavolozze – invece la poesia sa perfino inventarsele…
E questo un po’ accade anche qui: di accompagnare un tranquillo, consueto percorso d’esistenziale saggezza – gustando però di continuo i sapori, i colori e gli aromi che compensano il grigio di ogni vita, il peso di ogni giornata, la fredda porosità d’ogni dolce esperienza.
Fausta Genziana armonizza, zucchera la sua poesia di colori iridescenti, desideri melodici, orchestrazioni cantabili…
… le palpebre dei tuoi occhi celesti …
… quale vento sferzava i tuoi capelli? …
… immaginando passi felpati …
… il silenzio riveste la pienezza …
… ingioiellato di trasparenze …
… avanza infine verso una notte d’amore …
Lei sa fin troppo bene che gli dèi sono e vedono dappertutto… Anche dentro un colore o da dietro un albero, il gesto d’un nonnulla – un oggetto che meravigliosamente diventa sguardo, o il sublime riverito e guardato, la parola che vive, come ninfa ci bacia perché accada l’amore, e noi con esso, noi con essa… Purché ogni parola nomini veramente se stessa – non sbagli nome, né viso o bacio… E ogni stella sia stella: “Stellina”, ancor di più, la figlia Scilla…
Il Tempo è il sempre – il Dove è il qui – il Quando, l’indomani: “Non ti trovo / infine / perché sei diventata stella. / Che brilla sulla mia fronte”.
Dimenticavo: il suo unico e ineludibile Perché, vige e resta sempre semplicemente la POESIA. Quella che medita sul male vissuto stancandosi gli occhi a contemplare rose… “Prima di riprenderlo” – come carbone dolce nel sacco di iuta della solitudine – “per le curve spalle dell’andare.”
Plinio Perilli
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