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La fiera di Amiens

di Andrea Pighin
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Pubblicato il 25/01/2018 12:21:29

Era l’otto novembre di un anno insolitamente caldo. Il caos naturale era giunto a tal punto che al declinare dell’autunno i ciliegi erano tornati in fiore e con loro molte altre piante, tra cui folte schiere di fiori rossi, di forma allungata, provenienti dalla salvia-ananas. Ad Amiens, ciò nonostante, vi fu un’insolita settimana ventosa, da far gelare ogni singola goccia di sangue. Raggiunsi la fiera verso le dieci del mattino, poco dopo l’apertura. L’insieme delle bancarelle si trovava raccolto nel padiglione due. Erano tutti lì, a risolvere un millenario problema, l’origine del male, sebbene non fossero del tutto consapevoli della loro missione.

Per prima cosa, scelsi di fare un giro in senso orario, seguendo il perimetro del padiglione, per poi attraversarne l’interno, fila dopo fila. Mi trovai così di fronte alla bancarella del Successo. Un uomo sui trent’anni era seduto con le gambe incrociate e il ginocchio sinistro estremamente arcuato. Alle sue spalle, con un completo blu navy, un signore di circa cinquant’anni lo osservava in piedi, a braccia conserte. Alla mia vista, il più giovane alzò appena lo sguardo, ma lo ritrasse sùbito, quasi avesse compiuto un atto contro la legge. Riuscii a malapena a leggerne le occhiaie e a vedere l’occhio destro iniettato di sangue. Forse troppo caffè, o troppe lacrime di sudore. L’uomo in piedi sorrise con metà volto. Rimasi molto a disagio di fronte al successo; non capii se al di là della doppia faccia vi fosse un uomo ferito o solamente spietato. Non capii nemmeno l’uomo seduto. Forse avrebbe voluto condividere con me le sue conoscenze e le sue esperienze, ma avvertii al contempo un astio primitivo nei miei confronti, come se scoprendo le sue doti avessi potuto privarlo di una qualche proprietà.

Proseguii comunque la visita, perché quel senso di straniamento era anche stato in grado di incuriosirmi. Passai in questo modo alla bancarella della Speculazione Finanziaria. Al contrario del successo, vidi nella speculazione una frenesia che non potevo nemmeno concepire. Uomini e donne erano seduti di fronte ai rispettivi monitor, con contenuta ferocia, a controllare strani numeri e strane linee altalenanti. Il ragazzo scelto per interagire con il pubblico era quanto mai vivace. Mi parlò a lungo di come avrei dovuto investire sulle armi a tutti i costi, ma che in seguito a quel facile investimento avrei fatto meglio ad affidarmi a lui. Sosteneva di poter trasformare i miei risparmi in una miniera di soldi che non avrei mai potuto spendere nemmeno in dieci vite. Sul momento devo riconoscere che quella prospettiva mi incuriosì molto, ma quando chiesi le coperture e l’entità della spesa dovetti ricredermi. Considerai che non vivevo affatto male e che con quanto possedevo ero in grado di vivere il presente e di avere il giusto per il futuro. Mi chiesi perché mai avrei dovuto arricchirmi per dieci vite, o anche solamente per una, se tutto ciò che un essere umano può desiderare è alla sua portata. Compresi solo allora che chi sceglie quella strada ha spesso desideri spropositati per un qualunque essere vivente. E che il concetto stesso di generare guadagno da un lavoro mai compiuto è la grande mistificazione della nostra epoca. Il problema immediato, peraltro, era che non riuscivo a liberarmi di quel giovane. Senza alcun dubbio conosceva il suo mestiere e io non avevo strumenti per contraddirlo, a tal punto che ebbi la sensazione di crollare. Per un caso fortuito, però, un signore col bastone mi strappò via dalle sue grinfie e attraverso la folla mi portò ad un’altra bancarella, la Pensione.

In verità, la sua proposta non era molto differente da quella dello speculatore finanziario. Ruotava intorno al fatto che non è pensabile alcun sistema pensionistico che rispetti l’effettivo lavoro delle future generazioni. A suo dire, quelle risorse erano semplicemente svanite. Per sempre. Anche lui quindi mi propose di investire una parte del mio stipendio, assicurandomi la copertura completa in caso di perdita. Di base mi sembrò tutto logico e perfetto: avrei dovuto sacrificarmi per venti o trenta anni, ma alla fine, negli ultimi quindici anni di vita, avrei ottenuto una grande cifra da spendere. Poi rielaborai un poco la faccenda. Mi aveva proposto di spendere trent’anni della mia vita per viverne meglio quindici, peraltro in anni in cui la vecchiaia avrebbe limitato molte delle mie scelte. In realtà, la proposta non era così assurda come quella dello speculatore, ma si fondava sullo stesso principio: il non-lavoro che si trasforma in ricchezza. Quella ricchezza che crea lo scarto decisivo tra me e l’altra metà del pianeta. Ringraziai quel signore con molto rispetto, per il modo in cui si era posto e per la sensibilità con cui aveva affrontato la questione del futuro dei giovani, ma ebbi uno scrupolo interiore che mi spinse a rinunciare. Riconosco che forse si trattò di un mio limite, ma fu comunque una mia scelta, che non è affatto poco, a ben pensarci.

Continuai a camminare lungo il perimetro del secondo padiglione, senza però trovare alcuna novità di rilievo. Ad un certo punto, però, la mia attenzione fu attirata da un gruppo di persone che gridava e scalpitava. In quella massa si trovavano onnivori, vegetariani, vegani e molto altro ancora. Ero capitato nella bancarella dell’Alimentazione. Ognuno pronunciava parole di disprezzo verso le altre fazioni. Secondo alcuni era un atto di ipocrisia possedere degli animali da compagnia, per poi cibarsi comunque di carne. Chi si sentiva accusato sosteneva che dovevano esserci delle distinzioni e che la tradizione alimentare locale – che andava salvaguardata – non poteva rinunciare alla carne. Si inserirono in quella disputa anche altre persone. Una in particolare sosteneva che la sovrappopolazione avrebbe comunque portato ad una riduzione del consumo di carne, limitato a suo dire agli insetti, presenti in grandi quantità ed ecosostenibili. Molti furono gli insulti e le risate di scherno; una risposta comprensibile per certi versi, ma non in grado di rispondere a quelle previsioni quantomeno verosimili. Solo allora intervenne una giovane ragazza, che si trovava in quel luogo per promuovere un’alimentazione salutare e sostenibile, che passava attraverso il consumo di pastiglie e polveri di vario genere. A ben guardare, ognuna delle opinioni dei presenti mi sembrò legittima, ma la superbia portata dall’uno nei confronti dell’altro mi portò a considerare solo per me stesso una soluzione di compromesso, che nessun altro voleva ascoltare.

Per un istante mi sentii solo; avevo ascoltato così tante opinioni, mi ero costruito un’idea grazie alle diverse prospettive, eppure non c’era nessuno interessato ad ascoltarmi pacatamente. Fu forse un segno se arrivai in quella condizione alla bancarella delle Relazioni Sociali. Mi stavo avvicinando al centro del padiglione e mi accorsi che qualcosa era cambiato. Una coppia attendeva, con una dolce ansia dipinta sui volti, che qualcuno andasse da loro per parlare. Quando chiesi quale prodotto stessero promuovendo, mi risposero chiedendomi quale fosse per me il significato dell’amicizia. Curiosamente, vendevano domande anziché risposte, e la loro ansia era dolce proprio perché era interessata ad ascoltare piuttosto che a giudicare. Non avevano prodotti per migliorare la mia vita; non erano certi su che cosa il futuro riservasse loro, però mi raccontarono che cosa avevano costruito insieme fino a quel momento. Avevano piccole certezze, tanto piccole quanto importanti; e progetti per il futuro, che qualcuno avrebbe definito di successo e qualcun altro avrebbe relegato ad utopie. Mi domandarono ancora quale fosse il significato di colui che si ama. Era una domanda insolita, un poco strana e a tratti priva di senso. Ero disarmato, perché ad una proposta potevo controbattere, ma ad una domanda dovevo necessariamente rispondere. O restare in silenzio. Mi raccontarono della loro vita presente, ma a quel punto non fecero più riferimento ai comuni denominatori. Mi fecero notare come fosse difficile parlare di sé senza un nome, un lavoro, una relazione o qualcosa di compiuto. Eppure, a forza di chiederci chi siamo, eliminiamo ogni sovrastruttura dell’essere e diveniamo in qualche modo la sintesi del puro vivere.

È difficile, a parole e con la mente, ripensare a quell’incontro. Al termine del dialogo, vollero accompagnarmi all’ultima bancarella, il Bene. Era circondata da tutte le altre bancarelle, ma solo allora mi accorsi che ogni passo compiuto mi aveva portato inevitabilmente a quel punto. Intorno a me vedevo discussioni senza fine, opinioni irreprensibili ostacolate da fatti incontestabili, e poi ancora il volto emaciato di un trentenne esaurito dal desiderio di riuscire nella vita; la frenesia di un operatore che fantasticava su una materia che non è mai esistita. E tutto mi apparve surreale, con un senso ineccepibile, eppure così sbagliato, alla radice. Alla bancarella del bene, invece, c’era molto silenzio. Quando qualcuno parlava lo faceva con rispetto verso tutti e solo se aveva davvero qualcosa da dire oppure, meglio ancora, da domandare. Chiunque prendesse la parola sembrava parlare a nome di tutti, anche quando le opinioni erano in contrasto l’una con l’altra.

Con molto imbarazzo e dopo averci pensato a lungo, mi rivolsi a tutti e chiesi loro perché ci fosse una bancarella senza un responsabile e come mai fosse proprio la bancarella del bene. Non ricordo chi fu a rispondermi; compresi però che quella bancarella era in realtà l’unica ad esistere davvero e che tutte le altre non erano che un risultato temporaneo, generato da persone che erano ancora in cerca di un proprio significato alla vita. Una donna sostenne che il male è invincibile e che dobbiamo riconoscerlo come qualcosa di inevitabile. Non potevo accettarlo. Il male esiste. Punto e basta? E allora per che cosa combattiamo se questo dualismo è inevitabile? Forse per la nostra salvezza? Forse per una ragione etica, che sia umana o divina? Quel giorno, al centro del secondo padiglione della fiera di Amiens, incontrai un uomo molto strano. Aveva una sua teoria, per cui una persona con un tumore era quasi sempre un guerriero. Sosteneva infatti che quando un uomo incomincia a combattere contro i propri difetti e si avvia sulla strada dello spirito, allora il male che ha accumulato si trasforma e si degrada ulteriormente, a semplice materia. Il tumore lo ferisce, lo fa sanguinare e lo tormenta, ma se continua a camminare con la propria forza interiore, allora non c’è nemico che possa attaccarlo e non c’è vincolo che possa costringerlo. Libero dai condizionamenti della vita, come una pietra perfettamente levigata, nessun male è in grado di vincerlo.

Tutto ciò che accadde in quella giornata mi fece molto riflettere. Uscendo dalla fiera, ebbi la consapevolezza che il male non esiste. Eppure esso si compie temporaneamente, nel momento in cui l’uomo, essere imperfetto su questo piano, tenta un miglioramento di sé, che in una natura duale non può che portare ad un conflitto. La bancarella del Bene, ciò nonostante, mi aveva dato una speranza, offrendomi con saggezza una lotta quotidiana contro me stesso.


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