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Aloysius

di Monica Paccagnella
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Pubblicato il 09/01/2018 17:06:07

Mi ricordo... Ma cosa ricordo? Dove sono i miei ricordi? Come è difficile ricordare per me! Mi sembra... in un tempo tanto lontano... io sono stato qualcuno di prezioso per qualcun altro, ma... per chi? E perché? Devo cercare di ricordare! Signore, aiutami almeno a ricordare quel poco che mi permetta di sentirmi ancora una persona, non un fagotto!... Dunque... sì!... ecco... ricordo una carezza sul mio viso, una mano dolce e affettuosa, un sorriso luminoso, uno sguardo vibrante d’amore. Il cuore mi trema in petto. Ma chi è? Quanto amore sento... No! Io non ti conosco! Non voglio le tue carezze! No! Ma... ma... perché non mi accarezzi più? Che confusione nel cervello! Sono stanco. Ma voglio ricordare!... È tutto così lontano! Così perduto, così mai vissuto! Sforzati! C’è tanto verde intorno! Che posto è questo? Un parco? Un bosco? Con chi sono? Vedo una chioma bionda tra le macerie e sento un pianto di bimbo solcarmi il viso. La mano abbandonata tiene il mio orsacchiotto. Poi sono tutti lampi e fuoco e grida e urla e bombe!

Ma di chi era quella mano? Non ricordo più! Eppure la conoscevo.

Ora c’è tanto fumo. Sono tornato. Ma dove sono i miei giochi? Sono questi cocci quanto resta della mia tazza preferita? Fa tanto freddo e ho tanta fame. Un bambino grida nel pianto. Subito una figura si china su di lui e lo prende in braccio, cantandogli una dolce canzone. Quanto ho pianto anch’io come lui!... È caduta tanta neve nell’inverno del ’54 o forse era il ’56... non ricordo. Vedo solo delle orme sulla neve. Sento le carole di Natale e un albero pieno di luci e bimbi in festa attorno. Io li allontano dall’albero. Il signor... che strano! Non ricordo più come si chiamasse il mio primo padrone! Erano buoni i dolci allora, ed io portavo sempre una ciambella ancora calda a Magdala. Questo nome sì che lo ricordo! Bello come il suo sorriso e anche lei era tutta bella! La chiamavo “il mio angelo”. Poi, il treno. La fabbrica e la città vuota d’umanità. La fredda soffitta nella quale nacque mio figlio, quello che mi ha portato qui, dicendomi che  è per il mio bene. E qui sono tutti gentili! Sono tutti premurosi con me! C’è un uomo vestito di bianco. Forse è un angelo anch’egli? Mi guarda in modo strano! E poi, quando parla con mio figlio, dice sempre un nome in tedesco e mio figlio mi guarda e sospira. Oggi non è venuto a trovarmi o forse è già venuto e non lo ricordo? Adesso mi vengono a prendere.

“Scusate, sapete chi è quel signore tedesco che è sempre con me? Perché mi guardate così? Non ricordo bene il suo nome Al... Al... e poi finisce per ... er... mer...”

Mi portano a letto senza rispondermi. Però io vedo uno che fa dei cenni con la testa all’altro. Sono tanto stanco! Ho voglia di dormire un po’. Prima però voglio chiedere al mio compagno di stanza se conosce questo tedesco. Come? Alzheimer? Forse ha fatto la guerra? Ah, no? È una malattia? Ma io non sono malato. Mio figlio dice... Cos’è che dice mio figlio? Non mi ricordo. Forse è meglio che dorma un po’. Sono tanto stanco. Mi sento strano. Le gambe sono tutte intorpidite. Cos’è tutto questo buio? Ancora fuoco e bombe e urla e grida e lampi. Ancora quel bambino che piange! Che bello! L’ho riconosciuto!

Ora comincio a ricordare... ecco: sotto le macerie la mano. Ora ho capito! La stringo forte tra le mie e grido:

“Mamma, accarezzami ancora una volta! Sono io, il tuo bambino... sono tornato!”

 


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