L’ultimo dei Barca, la cenere e il sangue.
Nelle pagine di questo romanzo, come titolo e sottotitolo preannunciano, è narrata la vita di Annibale Barca, dal giorno in cui, tredicenne, il padre Amilcare gli affidò la guida e la difesa di Cartagine, sino agli ultimi, amari, anni dell’esilio e l’inevitabile – tragica fine. Il compito di raccogliere la testimonianza del valoroso generale è affidato dall’autrice ad Antioco, re della Siria ed ammiratore del Cartaginese, ripiegato presso la sua corte dopo i fatti di Zama e le pesanti condizioni dettate da Roma. Attraverso il racconto, lungo un giorno ed una notte, di Annibale ripercorriamo le gesta del cartaginese dall’Iberia, che lo vide diventare orfano, e contemporaneamente guida dell’esercito di Cartagine sino ai lunghi anni in Italia. Il soggiorno italico vide Annibale prima vittorioso, poi via via sempre più indeciso se attaccare direttamente Roma o continuare a giocare a rimpiattino con l’esercito dell’Impero in una sorta di guerra al logoramento in cui i romani lo tallonano ma evitano lo scontro diretto nel quale Annibale è indiscusso maestro, grazie anche alla sua fine strategia e all’indiscusso valore suo e dei suoi soldati. Dopo gli anni nella penisola, ormai isolato dalla Patria da cui attende rinforzi che non giungeranno mai Annibale torna in patria dove anziché alla spada si dedica alla politica, ma Roma cerca vendetta che giungerà con il volto di Scipione il quale avrà la meglio su Annibale durante la battaglia di Zama, persa dal cartaginese per un errore di calcolo. All’ultimo dei Barca resta, come ultimo tentativo di salvare la Patria, quello di prendere il comando della città, e cercare di far fronte alle condizioni dettate dai romani, ma questi, oltre alle pesanti sanzioni, vogliono la testa di Annibale, aiutati in questo dagli antichi nemici della sua famiglia. Ad Annibale ormai esule non resta che tentare di sollevare contro Roma la Siria prima e poi la Bitinia, ma i rispettivi sovrani incontrarono la sconfitta per non essersi decisi ad affidare il comando degli eserciti all’unica persona forse in grado di sconfiggere l’Impero: Annibale Barca.
Il romanzo è costruito assai bene, il linguaggio, semplice e lineare, è molto efficace, si snoda con eleganza lungo le pagine del romanzo, senza cedere a frasi ad effetto ma affidandosi ad una costruzione rigorosa e molto corretta. La ricostruzione storica appare assai precisa e dettagliata e la strategia di Annibale è illustrata molto bene, quasi come se l’autrice fosse stata presente sui campi di battaglia. La complessa psiche del Cartaginese è cesellata in modo concreto e con un escamotage gradevole l’autrice affida ad Antioco il compito di analizzare taluni comportamenti e di fornire una visione differente di quanto Annibale va raccontando. Il re della Siria spesso legge tra le righe del racconto e coglie le contraddizioni nell’animo di un generale che si dipinge tutto di un pezzo ma che invece nasconde tentennamenti ed ansie che vorrebbe tenere nascoste. E’ notevole il grande impegno e l’assoluta perizia dell’autrice, talvolta il racconto si fa assai austero, la cronaca, scandita con precisione e assoluto realismo, assume, qua e là, l’aspetto di un trattato di storia; sicuramente il romanzo primeggia tra i tanti di ispirazione storica che pasticciano con date ed avvenimenti mischiando troppi fatti inventati alla realtà, nel nostro caso, semmai, la grande precisione storica e la sobrietà rischiano di non emozionare il lettore. Tuttavia il romanzo si riscatta da ciò con la bellezza della storia trattata e dalla grande passione dell’autrice che non passa inosservata e dona al lettore un romanzo singolare e ben scritto.