ROMANZI BREVI E RACCONTI LUNGHI
Nel 2012, parlando al al festival letterario di Cheltenham, in Inghilterra, Ian McEwan si è lanciato in una squisita disquisizione su cosa si intende per novel (romanzo, in inglese) e novella (romanzo breve).
Secondo McEwan la novella è la suprema forma letteraria: morirei felice, se potessi scriverne una perfetta.
Che poi noi, educati nelle scuole italiane, quando leggiamo novella, diciamoci la verità, pensiamo subito a Verga e a Pirandello.
Mi sono ricordata delle parole di McEwan quando ho letto, qualche settimana fa, la bella recensione della raccolta di racconti di Paolo Cognetti Una cosa piccola che sta per esplodere che ha fatto Giulia sul suo blog, Le librerie invisibili.
Le parole di Giulia mi hanno colpita e coinvolta. Al di là della recensione, il suo articolo, alla fine, si riassume più o meno così: Non mi piacevano i racconti. Poi ho letto Cognetti. E adesso cosa leggo? E perché gli editori (italiani) non pubblicano racconti?
McEwan dà una spiegazione del perché i lettori amano i racconti (e gli editori molto meno): molti degli scrittori che amiamo di più, li amiamo per i loro romanzi brevi, come Morte a Venezia di Thomas Mann e La metamorfosi di Kafka. Purtroppo spesso i critici reagiscono a un romanzo breve come se un autore avesse sbagliato qualcosa o non avesse osato abbastanza, ma un libro più lungo non significa necessariamente un libro migliore, anzi.
A questo punto mi sovvengono anche le parole di Alice Munro che alla notizia del Nobel per la Letteratura che le è stato assegnato quest’anno ha detto (tra le altre cose): spero che questo premio faccia vedere alla gente il racconto come una forma importante d’arte, non solo qualcosa con cui giocare in attesa di avere per le mani un romanzo.
La Munro ha sempre sostenuto di essere stata costretta a scrivere racconti perché non aveva tempo: una giustificazione che voleva essere solo scherzosa, ché di tempo per scrivere un racconto ce ne vuole, e anche tanta concentrazione.
McEwan ha spiegato lo scorso anno a Cheltenham che la brevità in scrittura permette a chi legge di contenere mentalmente tutta la struttura narrativa e a chi scrive di tirare fuori il meglio: in un racconto la prosa è migliore perché più condensata, più rigorosa, e anche i personaggi hanno una loro economia, di loro si dice solo quanto basta per muovere l’azione e giustificare i sentimenti.
Un autore di novelle deve essere più concentrato, non si può mai rilassare.
Al festival di Cheltenham c’era anche Gail Rebuck, presidente della Random House: anche lei è intervenuta sul tema, offrendo, è il caso di dirlo, un innovativo punto di vista degli editori sul tema racconti.
Inaspettatamente, la Rebuck si è detta d’accordo sull’importanza dei romanzi brevi per il futuro dell’editoria, anche se la motivazione è certamente più prosaica rispetto a quanto affermato da McEwan: i racconti lunghi, o romanzi brevi, verranno sempre più richiesti dagli editori in quanto più adatti a una lettura su nuovi dispositivi, come ereader, tablet, smartphone.
Si continuerà a leggere, ma si avrà meno tempo per farlo e quindi si cercheranno testi più brevi. Il potere del marketing che avrebbe fatto felice Verga e Pirandello: non ve lo aspettavate, vero?
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Segnalo infine che l’articolo di Giulia è stato ripreso anche da Cartaresistente, un blog letterario di cui consiglio fortemente la lettura a tutti gli amanti dei libri.
Grazia Lodigiani towritedown.com
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