Pubblicato il 24/02/2008
Wislawa Szymborska è una poetessa polacca nata nel 1923. Premio Nobel per la Letteratura 1996 con la seguente motivazione: "Per la capacità poetica che con ironica precisione permette al contesto storico e ambientale di venire alla luce in frammenti di umana realtà". E’ quindi arduo fare la recensione dei testi di una poetessa tanto stimata e di chiara fama. Vorrei allora semplicemente portare all’attenzione un tipo di poesia che offre una visione alle volte non comune della realtà umana.
Uscì sulla scena della poesia il 14 marzo 1945 con una poesia pubblicata su un supplemento settimanale del quotidiano di Cracovia “Dziennik Polski”. In quella poesia voleva dar conto di quanto fosse difficile esprimere in modo adeguato la mostruosità dei criminali hitleriani: “Voglio definirli con una parola: / com’erano? / Prendo parole comuni / rubo dal dizionario, / misuro, peso e controllo - / Nessuna è quella a adatta … La nostra lingua è impotente, / i suoi suoni d’un tratto – sono poveri. / Cerco con uno sforzo della mente, / cerco quella parola – ma non la trovo. / Non la trovo”.
La Szymborska riesce a cogliere sfumature del “paesaggio sociale” che difficilmente si trovano in altri poeti. E’ come se ella riuscisse, con ali misteriose, a librarsi oltre la terrazza (solo di poco più in là) dalla quale noi tutti vediamo lo stesso panorama e a rimandarci la descrizione dello stesso con noi inseriti come parte del tutto, mettendo in luce con vera e gentile ironia quelli che sono i lati, talvolta ridicoli, del nostro affannarsi ed agire quotidiano: “Progetto un mondo, nuova edizione, / nuova edizione, riveduta, / per gli idioti, ché ridano, / per i malinconici, ché piangano, / per i calvi, ché si pettinino, / per i sordi, ché gli parlino”.
La sua poesia sa dare valore agli aspetti più minuti della realtà, è come una ricercatrice che con lente e spazzolino va a cercare, nelle pieghe della storia, intesa anche nel senso immediato dei minuti che passano, i residui della nostra grossolanità, cercando di ridare dignità a persone o cose nascoste o abbandonate dietro la piccolezza dei numeri se rapportati a statistiche sociali più ampie: “Scrivilo. Scrivilo. Con inchiostro comune / su carta comune […] / […] / La storia arrotonda gli scheletri allo zero. / Mille e uno fa sempre mille. / Quell’uno è come se non fosse mai esistito: / un feto immaginario, una culla vuota, / un sillabario aperto per nessuno, / aria che ride, grida e cresce, / scala per un vuoto che corre giù in giardino, / posto di nessuno nella fila. / […] / Sullo spiedo di filo spinato / ondeggiava un uomo. / Si cantava con la terra in bocca. Una leggiadra canzone / sulla guerra che colpisce dritto al cuore. / Scrivi che silenzio c’è qui. / Sì”.
La sua ironia è dalla parte del popolo che talvolta, nella sua ignoranza, non riesce a cogliere l’entusiasmo di un mondo intellettuale e scientifico in rapporto ai fatti contingenti della povertà. E così s'interroga sul senso che possa avere la scoperta di una nuova stella, quando sotto il cielo succedono cose ben più gravi:
Hanno scoperto una nuova stella, ma non vuol dire che vi sia più luce e qualcosa che prima mancava. La stella è grande e lontana, tanto lontana da essere piccola, perfino più piccola di altre assai più piccole di lei. Lo stupirsi non sarebbe qui affatto strano se solo ne avessimo il tempo. L'età della stella, massa, posizione, tutto ciò basta forse per una tesi di dottorato e un piccolo rinfresco negli ambienti vicini al cielo: l'astronomo, sua moglie, parenti, colleghi, atmosfera rilassata, abito informale, si conversa soprattutto di temi locali masticando noccioline. Una stella magnifica, ma non è un buon motivo per non brindare alle nostre signore assai più vicine. Una stella senza conseguenze. Ininfluente sul tempo, la moda, l'esito del match, il governo, le entrate e la crisi dei valori. Senza riflessi su propaganda e industria pesante, sulla laccatura del tavolo delle trattative. In sovrappiù per i giorni contati della vita. A che serve qui chiedersi sotto quante stelle nasce l'uomo, e sotto quante dopo un attimo muore. Nuova. - Mostrami almeno dove sta. - Tra il bordo della nuvoletta bigia sfilacciata e quel rametto, più a sinistra, di acacia. - Ah, eccola - dico.
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