Con Uno stupore quieto, un libro che segue le pubblicazioni di aforismi, poesie, saggi, traduzioni (presenti sia in volume che in antologie e riviste), Mario Fresa presenta un testo intenso, complesso, ricostruito in partiture precise, dove l’autore ha sicuramente sfoggiato i suoi studi in musica, come sottolinea anche Maurizio Cucchi nella sua precisa e chiara prefazione: «Ma vale la pena di segnalare – visti del resto i precisi rimandi alla musica presenti – la felice scioltezza musicale di pronuncia sia nel verso che nella prosa di questo libro».
L’autore sviluppa un linguaggio vario, ora affidandosi ad una prosa poetica, ora a brevi poesie, ed appare particolarmente interessante la costruzione di una vera e propria sceneggiatura teatrale (in particolare nella prima sezione dal titolo “Storia di G.”), per esplorare la psiche del protagonista, dettagliando frasi e personaggi di un panorama circoscritto, funzionale allo svilupparsi delle scene. Un sipario che coinvolge il pubblico-lettore, elaborando (o lasciando che sia lo stesso lettore ad elaborare) una microstoria che riesce a far vivere l’inquietudine del protagonista, disseminando dettagli di una storia, tra l’elegia del sogno e la connotazione delle turbe dei tanti personaggi di contorno. Tra ironia ed indagine delle azioni, attraverso un dettato per lo più prosastico, Fresa riesce a condensare un equilibrio tra visionarietà del ricordo e meditazione delle azioni che conducono alla rivelazione di un dramma, probabilmente inconfessato.
Ancora un circo di personaggi ai confini del grottesco (sembra di imbattersi – tra i tanti possibili accostamenti letterari o cinematografici – in un film di Jean-Pierre Jeunet) si presenta tra i flashback della seconda sezione, “Titania”, composta da brevi testi, ordinati per risolvere un quotidiano dove ancora le ansie, le angosce sono presenti anche nelle attese gioiose, con una vivida osservazione dei protagonisti, sviscerati nei loro pensieri, a volte al limite della decenza, dove la memoria si mescola al disfacimento del quotidiano. Se in questa seconda sezione il linguaggio, per lo più quotidiano, si sviluppa con un testo spezzato in versi, nel successivo, “Una violenta fedeltà”, invece, è la prosa che si consolida anche nella sua rappresentazione sulla pagina. Paradossalmente, i testi presentano vibrazioni elegiache più vive nelle costruzioni metaforiche, dove la trama appare sicura, scorrevole, pur ricca di dettagli per ricucire i frammenti di un breve, anche se intenso, istante di vita della pluralità di personaggi.
Chiude il volume la sezione “Romanzi”, composta da brevissimi poemetti, con un dettato che diventa veloce, fluente, come la costruzione delle scene, anche se ancora la realtà si mescola alla visione (o meglio all’allucinazione), e l’ironia si alterna alla pietà, forse nella consapevolezza, sempre più assorbita dall’autore, dell’imprevedibilità del quotidiano. E sarà questa consapevolezza il senso di una rappacificazione dello stupore, la quietezza difronte all’evolversi degli eventi, alla mirabile volatilità del pensiero, al suo mutare continuamente pur riprendendo e mescolando frammenti di memoria per risvegliare, di volta in volta, pacificazione o inquietudine difronte al mondo circostante e, nel caso, anche alla molteplicità di senso offerto dalla scrittura, prima che «le parole saranno cancellate, dimenticate presto;/ o finiranno in miele appiccicoso/ o in un terribile segreto».
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