Quel giorno cantò la voce di Dicembre.
La data fu segnata con la matita rossa:
usciremo a comprare piante di giacinti.
Ma la sera strappò dai suoi occhi scuri coltelli,
ed il centro della stanza girò su se stessa,
poi si riempì del lutto infinito della notte.
Stava con i pugni serrati sospesi sulla paura
del mio petto dal quale cadevano le stelle
mentre dormivano i passeri col capo reclinato.
Corpi senza materia noi due,
ombre verticali alla finestra,
mentre mi distraeva il vento
picchiando sui vetri gli orli delle foglie,
convocando a sé briciole d’amore.
Finché dopo l’una restò il silenzio,
la porta aperta sui campi.
Andò via con una valigia di cuoio marrone ,
e tutto divenne più grande, più denso,
troppo arduo da capire.
Le fenditure, le crepe sui muri ferivano la casa
e il sentimento cadde in una ragnatela
come un insetto minuto.
Ora il mio cuore è un muscolo leggero,
una cuna, una zolla dove s’inarca una rosa
sullo stelo, spinosa-memoria.
Io siedo a volte sulla soglia e osservo le distanze del cielo.
Ma quando, sorta la bianca luna,
poggiate le mani sul davanzale,
non vedo sul sentiero la sua ombra
accanto alla mia più breve,
il ricordo mi strappa l’anima a pezzetti.
Mi brucia le radici .
E non c’è stata più la guarigione.
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