Pubblicato il 02/11/2019 18:20:39
Ai versi affido l'intimo abbandono del mio sentire, trasparenze, per svelarmi e perdermi, ma non disperdermi; ventri di madre in cui incarnarmi, in fresco e profumato pane, in offerta a chi, di me, ha solo fame; defecando ogni apparenza che non sento mia, metamorfosi a tempo intrise di nulla, che offrono alibi per non cantare, con voce roca. Ma è vanità questa? Miope necessità di salmodiare su pulpiti spogli? O forse è una condanna ad Essere per scrivere, pensiero vivo, opposto a mozziconi spenti, che soffocano ogni mio sforzo di respirare? Un'inquietudine muta è la risposta. E in questo tracotante autunno che mi riempie di foglie morte, genero concime, attendendo una primavera che ha da venire.
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