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la cura del Pisano

di Filippo Di Lella
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Pubblicato il 28/08/2017 21:21:23

Nei suoi incubi, l'uomo-scarafaggio, sapeva che l'uomo-biscia divorava coccodrilli mordicchiandoli piano partendo dalle orecchie sussurrando con denti aguzzi.
L'uomo farfalla, intanto, mesceva nettare dionisiaco al ritmo tremulo d'una candela infondo ad un fosso; i ragionieri sfilavano via tra piogge d'occhialini che filtravano dal tempo ballonzolando di qua e di la senza una costante precisa o di origine atomica.
L'atmosfera di gomma richiamava ratti e pidocchi dai covi delle zanzare fino al termine della marea. Il termine della marea, dal canto suo, fischiettava un valzerino di poco conto appoggiato alla finestra demolita in un paese in guerra e aspettava con un mozzicone tra le dita l'arrivo delle schiere amate.
L'amore stava a casa col pigiama a divorar sorrisi e tempi lieti accompagnati dai biscotti e djambe a ritmo blando.

La tv becerava inutili frattaglie, le quali frattaglie intanto, venivano processate per sfruttamento della prostituzione e divani squallidi.
Il ritorno della sera nel suo impermeabile di spugna gialla preannunciava il riposo delle anime pie e stanchezza o scimmie focalizzate, per il resto...l'erba continuava a crescere a dismisura e dai prati falciati s'udiva un labile lamento che finiva con lo schiantarsi di testa contro i muri delle case-gabbie e poi rimaneva lì, immoto, sdraiato e con peritonite immensa.
L'uomo-furia immergeva la testa nel lavabo nero e un gatto di passaggio si lamentava di continuo dei titoli del giornale scritto da un coleottero troppo moderno e disinvolto.
Si diceva che fosse giunta in paese un'altra squadra di malesseri e miserie ma il governo negava e, comunque, non ci sarebbe stato un posto dove infilarla: i magazzini erano già pieni e il piano quinquennale al varo del consiglio dei ministri prevedeva una diminuzione di ricchezza generale. Aprivi un cassetto e...voilat! Un paio miserie saltavano fuori come spinti da una molla, a privi un armadio, giravi un angolo e...fraaac! Un gruppo di malesseri t'assaliva lasciandoti in quel mood da gatto delle nevi.

C'eran poeti, ma che dico...Poeti! Poeti ovunque, nei parchi, nei musei, nelle aule, sulle teste di scimmia allo zoo, negli scivoli degli acqua park e in ogni fottuto pulviscolo di materia rosa putrefatta dall'amianto e dalla lenta decomposizione delle foglie nei pavimenti bagnati di piscio dei cessi pubblici nel pieno centro del vomito del mondo; la legge, scaltra, prevedeva però un simile reato d'obbrobbrio nei riguardi di natura, costume e società... La SOCIETÀ! La società e i fazzoletti bianchi col bordo rosa o fucsia o verde, adamascati, arabescati o debosciati ed esagitati e rutilanti ex della vita che s'abbandonavano in orge d'eroina e sabba di sfregi a basso costo tra gli abiti distinti degli acidi da batteria industriale.
La legge puniva tramite detenzione e trattamento coercitivo-estetico-sedentario tali poeti e loro vittime o seguaci; non c'era differenza tra gli idioti né tra gli idolatri in quest'epoca di passione mai vissuta.
Intanto, seduta sullo scoglio al centro del suo salotto, la luna si domandava che o chi fagocitare per cena senza per questo minimamente preoccuparsi né della legge né dei poeti, la luna (maledetta ipocrisia!) si sentiva troppo democratica e (ahimè) troppo questo e quello e troppo seria e troppo annoiata o faceta e disinvolta come una amante che si perde in discorsi da puttana davanti alla bistecca offertale dal suo cane senza più il bastone nodoso del comando.
Le braci dei libri illuminavano le notti nelle spiagge tetre disertate dai turisti-pirati e il Professore si curava solo spremendo un piano con mani gialle. La cosa non andò in porto e non gli riuscì altro che scalfirsi le unghie (peraltro già corte e un po' smangiucchiate) prima di tornarsene in pace nella piazza a chiedere sei grammi di tonica a prezzo di favore e senza anticipo.
Il tizio verde con la lunga lingua bianca che serviva abitualmente il Professore si lamentò distrattamente d'un vecchio debito ma alla fine diede con impellenza la dose al nonnetto pur di levarselo davanti.

Il tizio verde tornò a lavarsi, era la quinta doccia di quel giorno sconsacrato.

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