Il timer spento, precipito nell’asfittico
blackout del sottoscala: un silenzio nero metafisico
soffoca i pori, penetra il respiro, spegne il rigagnolo pulsante
del pensiero. La cecità delle mani fruga un appiglio
di salvezza: sotto le dita soltanto l’asprezza
granita dell’intonaco, la sagoma fredda
della maniglia bloccata. È un’attesa
negata di luce che risucchia passato
e futuro dentro il vortice di vuoto
che divaga, tenta tastoni il pulsante
di chiamata. Lo trova. Lo schiaccia
con violenza. Adesso, la superstite
essenza di me stesso arde soltanto
negli occhi rossi d’inferno, nel
marchio inusto sopra il nulla
di un istante eterno: occupato.
Rigorgoglia una carrucola, dal tempo
una macchina riparte. Finalmente
la porta s’illumina: presente.
Vivo valico la soglia.
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