Pubblicato il 09/06/2017 09:39:04
Come sono lunghi, infinitamente lunghi e brutti i pomeriggi d’inverno in questa parte del mondo. La nebbia, puntellata da piccole gocce di acqua, avvolge tutto per giorni, senza alzarsi un attimo, senza liberare dalle sue catene umide né la natura, né l’animo umano. Ogni tanto si affaccia un sole bianco e calvo, privo di raggi, che galleggia solitario dentro la foschia. Resta a lungo immobile, senza forza, sospeso, sembra un grande piatto e non c’è nemmeno un brivido di vento che l’aiuti a rotolare aldilà dell’orizzonte. Mi lascio piombare in una sorta di attesa vuota, in cui sento congelare le mie energie. Non devo fare niente! Devo soltanto aspettare che passi il tempo. Poi tornerò a casa. Poi … non sapendo cosa altro stia dietro a questa parola, aggiungo a voce: “Vedrò.” Giro e rigiro per la stanza, senza riuscire a scrollarmi di dosso la sensazione di essere rimasta intrappolata. Come un gatto che maltratta le superficie solide in cerca di un po’ di sollievo per le unghie, anche io vorrei raschiare il tempo che inizia ad incrostarsi stagnante attorno alla mia esistenza. Mi soffoca con la sua immobilità ed inerzia. Fra il risveglio del mattino e l’abbandono della notte vi sono migliaia di respiri, troppi per uno spazio riempito di nulla. Il mio torace alla sera è stanco, come se gli pesasse tutto questo sforzo non giustificato.
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