Pubblicato il 31/05/2017 07:44:29
LA CASA DI FRONTE 1(..a ghost).
Come in tutte le storie che si rispettano, arriva un momento dove al sogno si sostituisce il dubbio, che diventa aspettazione, per poi trasformarsi in desiderio e quindi ansia, e ancora, inquietudine, affanno, paura. Non so perché questo accada e vorrei tanto conoscere il meccanismo che genera questo strano rincorrersi di sentimenti. Per certo so che l’abitazione di fronte, che vedo dall’ampia finestra del salone, potrebbe essere disabitata … non credi? Ma che dici George, è abitata eccome, se verso sera a una certa ora, diciamo alle otto, si vedono tutte le luci accese! È proprio di quello cui stavo pensando Ann, a quelle luci che si accendono tutte insieme in una volta sola, neppure fosse per una qualche ispezione di Polizia. Hai presente quando nel cuore della notte si è svegliati all’improvviso dall’arrivo dei gendarmi? No, io no, perché tu si? No, io no. Comunque, non mi sembra sia così normale, penso, tutto qui, nient’altro. Però, e c’è sempre un però ogni qualvolta persiste un dubbio nella mia mente, il fatto in sé mi dice che quelle luci accese, tutte insieme e sempre alla stessa ora, nascondano qualcosa che si vuole far credere agli occhi degli altri. Certamente agli occhi dei curiosi, dei sospettosi e dei rompiscatole come te, George, che non riescono a farsi gli affari propri, non credi? Credo invece che se ognuno di noi si occupasse solo degli affari propri non si potrebbe parlare di comunicatività, di associativismo, del civile stare insieme e quant’altro. Ci si deve occupare e preoccupare di ciò che ci circonda per infinite ragioni di altruismo, nonché per ragioni di sicurezza personale, come altrettanto di salute, non è forse detto: “mente sana in corpore sano” ? Allora tanto vale avere sotto naso il controllo della situazione ... non ti pare? In quanto a naso fossi in te prenderei qualche precauzione, sono almeno tre giorni che non ti fai la barba e mi è sembrato di sentire che forse non la tieni poi così pulita come dovresti. Ma che centra adesso la mia barba con la storia che sto tentando di scrivere sulla casa di fronte, proprio quando mi sembrava di aver carpito il segreto di quelle strane luci che si accendono improvvise e restano accese nottetempo fino all’alba. Hai detto fino all’alba? Sì l’ho detto, ed è proprio questo il dunque, quel quantum che finora mi era sfuggito di annotare, e solo perché tu hai la capacità di distrarmi dai pensieri che si accendono all’improvviso nella mia mente, con la differenza che in me fuggono via come lampi, nell’incapacità di trattenerli, mentre quelle luci si accendono così, tutte insieme ogni sera all’improvviso, come dal niente. Lampi di follia pura, la tua George, che in ogni accadimento vedi un sintomo d’ingegno, una traccia di creatività, o al contrario dell’esasperazione umana. Piuttosto quando ti deciderai finalmente a controllare la maniglia di quella porta che cigola e che ogni volta che la si adopera sembra chiedere amorosamente di essere oliata … sarà sempre tardi. Ci sono Ann! Immagina lo scricchiolio delle assi delle librerie che stufe di sostenere il peso voluminoso dei libri di cui sono pieni gli scaffali, fungono da avvertimento di un possibile ravvicinato schianto. Immagina lo sconquasso degli scaffali che irrompono sul pavimento e il frastuono di tutti quei libri che s’aprono, che si disciolgono dalle rilegature e si squinternano, lasciando cadere parole, frasi sconnesse, aforismi, sentenze deliberate … Ecco, immagina per un momento di trovarti lì, cosa faresti? E tu George cosa faresti? Ah, non dirmelo, lo so già. Mi sembra di vederti, seduto sul pavimento a raccogliere tutte quelle pagine, a riordinarle, finanche a leggerle, tutte, dalla prima all’ultima, e poi di nuovo, dall’ultima alla prima, senza fine, non è forse ciò che faresti? Devo ammettere che hai ragione. Ebbene sì, è quello che farei. In fondo quella casa di fronte mi attrae proprio per l’idea che continuo a farmi delle sue copiose librerie che si scorgono dalle finestre illuminate nottetempo, e che mai, e dico mai, neppure un’ombra che le sfiori. Ho ossevato a lungo le grandi vetrate che occupano l’intero lato dell’edificio, un continuum di riquadri opachi, che la luce offusca durante il giorno, ma che conservano nel buio chissà quali segreti, quali verità che non mi è dato conoscere, ed è forse ciò che più eccita la mia fantasia, la mia brama di sapere, quasi di voler essere io stesso il fantasma di quei luoghi. Il caso vuole che ieri ho visto una finestra aperta, qualcuno quindi dev’esserci, anche fosse solo la donna delle pulizie, non lo credi George? No, preferisco pensare che dev’essere stato a causa di un’esplosione di parole. Nient’altro. In ragione del fatto che mi sono sentito investito da un colpo d’aria proprio mentre mi aggiravo in casa, e in quel preciso momento mi è occorso di volgere lo sguardo alle finestre di fronte. In realtà mi è capitato di notare come se una delle finestre si fosse spostata sulla guida del telaio che la contiene, sì da sembrare aperta, ma non doveva essere così. Eppure so per certo che l’esplosione c’è stata se poi ho sentito l’impellente bisogno di mettermi a scrivere di quella casa. Ma se neppure vi sei mai entrato. Per l’appunto, mi piace immaginare che qualcuno, diciamo un vecchio signore, uno studioso o un filosofo che sia, o forse un professore di una qualche materia storica o letteraria, nottetempo se ne stia sprofondato a leggere su un comodo divano di pelle marrone, sai uno di quelli di una volta, ampio, con grandi cuscini e braccioli consumati. O meglio no, forse a meditare, filosofeggiando sulla relatività dell’esistenza, sui meccanismi di difesa messi in atto per proteggersi dagli attacchi dell’età, o magari preso da necessità di sopravvivenza. Troppo complicato George, possibile tu non sappia pensare ad altro che a elucubrazioni arzigogolate e mai a semplici pensieri quotidiani. Pensa che magari a un vecchio signore romantico, attaccato ai ricordi, che si lascia prendere dalla malinconia … non ti sembra più plausibile? Comunque sia, eccolo incasellato: edoardiano, edonistico, mitteleuropeo. No, piuttosto preferisco affidarlo alla cerchia di E. A. Poe, o come lo si direbbe un poetiano (?). Non saprei come altro definirlo. Tuttavia è la, apparentemente tranquillo, preso nella lettura, quando un ragno argentato appeso al suo filo di seta, discende dal soffitto e si ferma all’altezza dei suoi occhi a creare una zona d’ombra notevole sulla parola chiave di un ragionamento che sta seguendo: l’interpretazione di un momentaneo raptus di follia. Quello che un giorno o l’altro prenderà a me, se non ti stacchi da quella infernale macchina per scrivere in cui hai tramutato il tuo portatile e finalmente ti decidi a tornare tra noi. A proposito, se non ti sei ancora accorto, si è formata una ragnatela proprio all’angolo della libreria che io non arrivo a togliere. Quanto di più falso, penso. Ma perché proprio a un ragno dovevi pensare, quando … Perché ricordo di averti veduta salire su una sedia per un grillo ch’era entrato dalla finestra. Neppure che un grillo non fosse in grado di raggiungerla sulla sedia, quando deve aver fatto un volo ad alta quota per arrivare fino al quarto piano della nostra abitazione. Così ho pensato meglio che scendesse dal soffitto. Penso davvero che Ann non potrebbe che essere così, uguale e diversa da tutte le altre, così psicologicamente malleabile quanto inflessibile nelle decisioni. Che è poi il problema di sempre, tutto qui, una decisione, qualunque essa sia, secondo lei va difesa a spada tratta, prima ancora di essere presa. Ma George la bestia stava attraversando il pavimento del salone! Sì certo, ma non era un rinoceronte! Con ciò vorresti insinuare che sono una donna poco determinata? Ti rammento che “Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male”. Ma questo è Nietzsche! – mi dico, ma non glielo dico … Anche il mio professore, è un tipo poco determinato, benché riflessivo, e anziché scansare il bellissimo ragno argentato, lo invita a condividere quella frase a dir poco ambigua che stava leggendo e di cui non è ancora venuto a capo, data l’ombra che gli oscura la visuale. In tal caso il parere del ragno è determinate nella visualizzazione del concetto – si dice il filosofo che è in lui, osservando per un momento la ferma intenzione del ragno di restare lì, dove è arrivato. In fondo è uno spazio aereo che ha conquistato. E non solo all’interno della casa, ma nella mente del professore. Esattamente come quello che hai tu … un buco in testa dove un ragno ha tessuto la sua ragnatela, vero George? Ecco, è esattamente come potrei definire la cefalea che mi ha tormentato tutta la notte, e che a quanto pare non c’è verso che passi. Io sto uscendo George, raggiungo mia sorella, andiamo a fare shopping, pensi tu ai ragazzi vero? Certo, non preoccuparti! Una spirale tessuta su fili d’argento che s’irradiano dal centro su di un piano verticale denota la bellezza di una ragnatela elegante e ingegnosa con cui la sensibilità tattile del suo tessitore avvolge, una volta catturata la preda, e la trasforma in una mummia bendata, prima di discioglierla coi suoi succhi fino a renderla liquida. Il momento è catartico. Il professore libera la sua mente dall’ostruzione di un possibile nemico e si allea con lui per definire una strategia che gli consenta di pervenire all’interpretazione della frase che stava leggendo su “la strategia del ragno” per l’appunto. George ci sei? Ho appena detto che esco, e ricordati anche di spazzare il terrazzo. Sì, certo, i ragazzi, ma se non so neppure dove sono? Dov’altro vuoi che siano se non a scuola! Va bene Ann, per l’ora in cui torneranno a casa, avrò spazzato il terrazzo e avrò preparato sicuramente qualcosa da mettere in tavola. Devi farlo prima George, rammentalo! Prima di cosa? Ma che arrivino a casa! Sì certo, certo. Dopo la mattinata uggiosa è uscito un bellissimo arcobaleno che si vede dalla mia finestra. Strano come i suoi colori non siano esattamente quelli della ricercata tavolozza di un pittore? – mi chiedo. Nient’altro. Nel frattempo, seppure nelle sembianze di un ragno argentato, sono appena entrato nella casa del professore e intendo restarci, e so che non mi muoverò di qui e fisserò il suo sguardo fintanto che mi renderò conto che non intende schiacciarmi contro la parete. Sarebbe davvero meschino da parte sua. La mia miopia, si sa, non mi permette di prevenire le sue possibili azioni future, ma la mia sensibilità senz’altro può captare le sue benevole o malevoli intenzioni. Almeno lo spero, se non altro, per non finire spiaccicato sotto i colpi di scopa. Sì certo ora rammento, avrei anche dovuto spazzare il terrazzo, del resto l’avevo anche promesso ad Ann. Be, pazienza! Anche se potrebbe obiettare che stare qui a gingillarmi nei miei costrutti, rubo del tempo alle faccende che, una volta ogni tanto, mi sono impegnato di fare. Lo so, lo so – mi ripeto sconcertato. Intanto il professore è lì che aspetta – mi dico. Nient’altro. Bene, allora diciamo che sta leggendo Nietzsche, la trasvalutazione di tutti i valori, a cominciare da quel rompicapo sull’insegnamento etico del cristianesimo, in cui riconosce una forma di sovversione dell’ordine naturale, e sono annientati i fondamentali istinti vitali. “Io amo colui/lei (per effetto della par condicio), la cui anima resta profonda anche nella ferita e può esser distrutto anche da un piccolo avvenimento (come spazzare il terrazzo o preparare il pranzo per i ragazzi), perché così andrà volentieri all’altro capo del ponte” (*). Penso di non dirlo ad Ann, altrimenti mi spedisce direttamente a dormire sul divano (l’altro capo del ponte, appunto) … vediamo in seguito. Meglio qualcosa sul l’eterno ritorno dell’uguale, col quale Nietzsche intende determinare il cammino dell’uomo nel mondo. Il seguito è pressoché detto, l’eterno ritorno dell’uguale può rivelarsi terribile e impossibile da sopportare, ma costituisce la più determinante prova nel cammino verso l’emancipazione da tutti gli idoli. “Solo a queste condizioni l’uomo saprà superare se stesso, accettando integralmente il proprio destino. Un principio questo che gli permette di interpretare gli eventi della vita senza far ricorsi a premi e punizioni” (*). Davvero non la seguo professore, vuole dire che se uno nasce coglione nutre la speranza di evolversi in dignità, oppure da morto sarà ricordato proprio perché era un coglione due volte? Non è detto! Sarebbe come dire un coglione per due – immagino mi risponda. Oppure che una onestissima prostituta, una volta accettata la sua condizione di escort possa trasformarsi in cortigiana altolocata? – gli chiedo. Questo mi sembra più probabile, se ho appena detto che l’essere umano saprà superare se stesso, non vedo perché anche una puttana non possa accrescere le sue potenzialità. Quindi mi sta dicendo che un coglione resta un coglione e una puttana rimane comunque una puttana, ma così non cambia niente e che al dunque, non si tratta di un atto progressivo e graduale, bensì di un salto, di una rottura radicale rispetto al passato? Sì, un salto però che permette a entrambi di approdare a una nuova dimensione in cui non avranno più bisogno di appigli e puntelli esterni, ma potranno esercitare un’attività libera e creativa. Ho l’impressione prof che la situazione sia rimasta la stessa, al massimo la puttana può diventare imprenditrice, e il coglione sarà comunque uno stronzo patentato. Però sentiamo anche come la pensa il ragno, non le pare? – immagino di dirgli. Grrr, grrr … “La felicità non è fare tutto ciò che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa” (*). Ma questo è di nuovo Nietzsche? Ancora lui, sempre lui. Prof mi scusi, inutile dirle che mi sono perso, ma allora il “superuomo”, la teoria sulla “volontà di potenza”? … e mentre gli pongo la domanda mi rendo conto che non si tratta affatto di una teoria ma di una semplice constatazione di fatto. Con l’espressione “volontà di potenza” Nietzsche intende – immagino mi dica – il principio vitale che governa l’esistenza, ciò che costituisce il tratto essenziale del superuomo, l’accettazione dell’eterno ritorno, come appunto, la trasvalutazione di tutti i valori. Il superuomo è infatti l’esito dell’emancipazione di tutte le tradizioni e i fondamenti “una fune tesa tra la bestia e l’uomo”, ma non vorrei che lei si montasse la testa – aggiunge. Beh, in quanto a superuomo Ann avrebbe certamente qualcosa da ridire. In quanto a bestia, va da sé che … Ma George!!! – esclama Ann di ritorno, ma come, ancora non hai preparato per i ragazzi? Ti rammento che avresti dovuto spazzare il terrazzo, era il tuo turno, e poi avevi promesso che l’avresti fatto. Sei una bestia, ecco cosa sei! Ecco Ann, posso spiegarti … semplicemente non ho potuto, mi sono intrattenuto a parlare con il professore della casa di fronte – dico. Nient’altro. In quanto a essere creduto va con sé che la finzione non regge. Soprattutto perché la casa di fronte dista almeno cento metri, in linea d’aria, dalla nostra, che neppure con un megafono avrei potuto colloquiare con il dirimpettaio. Abbasso lo sguardo e assumo un’aria dimessa in cerca di quella comprensione che solo Ann mi elargisce a piene mani, cioè lasciando cadere le braccia. Che sia per sfinimento? – mi chiedo dubbioso.
2(..the spider's strategy).
Approfitto del fatto che Ann è al Parco con i ragazzi, per riprendere da dove ho lasciato di scrivere per tornare a occuparmi della strategia che il ragno ha intenzione di metere in atto. Chi l’avrebbe detto che un giorno avrei visto tutte le finestre aperte e la casa di fronte prendere luce e aria come mai prima? La mia preoccupazione ovviamente è per il ragno argentato, che anche lui possa dover “accettare integralmente il proprio destino”? Non ci credo, non posso assolutamente credere che tutta quell’aria, tutta quella luce, l’aver staccato le tende, lo scuotimento dei tappeti, le pulizie generali intendo, non l’abbiano un po’ preoccupato. Ma se io sono preoccupato per lui, figuriamoci lui medesimo, sarà lì che si dimena, che si dibatte contro lo scopettone, la spazzola per le pareti, la scopa, il piumino, che ne sarà della sua bellissima ragnatela argentata? – mi chiedo. Non deve preoccuparsi George, “… solo a queste condizioni l’uomo saprà superare se stesso” – se ne rammenti, immagino mi dica il prof. Orbene, conosce il mio nome? – gli chiedo. No, è lei a conoscere il suo, tant’è che non fa altro che parlare di sé. Ma tutto ha una spiegazione, lei è del tipo edonistico, cioè dedito al piacere edonico, al godimento ultimo come conseguimento della vita, insomma quello che si dice un epicureo. Per estensione potrebbe anche essere un artista, uno che indica nel piacere il fine dell’opera d’arte – aggiunge, non sospettando nemmeno quanto ciò mi rassicura e almeno in parte mi riscatta. Agli occhi di chi? – viene da chiedermi, e fortuna vuole che Ann non sia qui, altrimenti … Ma ai suoi occhi, ovviamente, che la ricerca della bellezza risiede nelle sue stanze, anche se non si accorge di avere in casa solo specchi di legno – aggiunge, con una sfumatura di distacco nella voce, tale da sottolineare la banalità e l’ostentazione che mi abita. “Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa?” (*) – mi chiedo, usando un aforisma nietzschiano. A questo punto è indubbio che il ragno argentato sopravvive in qualche anfratto dell’ampia biblioteca della casa di fronte, sempre sperando che il professore, pur di non dargliela vinta, non l’abbia schiacciato tra le pagine del libro che stava leggendo. Uccidere Nietzsche, come ha potuto? – mi chiedo. Lui, al tempo stesso mentore e assassino (in senso filosofico), ha ucciso colui che declina la libertà dalle costrizioni convenzionali, l’infrazione dell’ordine, degli stessi caratteri che costituiscono i tratti essenziali del suo pensiero. Colui che ha osato rovesciare gli idoli (i suoi e i nostri falsi ideali), pur di non rinunciare a se stesso, mettendo fine alle giustificazioni ultraterrene e sovrasensibili cui tutti noi andiamo soggetti … come è possibile? Un dirimpettaio assassino, ècco chi è il prof dunque, l’assassino dello spirito di Nietzsche (il ragno argentato), e solo perché gli impediva di leggere la parola “fine” quale estrema conseguenza della propria volontà di potenza, che non gli avrebbe mai permesso di adempiere all’accettazione dell’eterno ritorno che lo inibisce, che lo lascia irrealizzato, insoddisfatto, frustrato di non essere se stesso, di aver mancato l’obiettivo della sua crescita (filosofica), il suo essere uomo (come modello), la sua “umana esistenza”. No, non posso crederci, non lo crederò mai. E se non avesse compiuto tale omicidio? È questo il momento di farglielo fare! – mi dico. Mettiamo, per caso, che il professore non stesse leggendo Nietzsche, e che quella di Ann fosse soltanto un’uscita accidentale. Resta comunque che egli sta leggendo. Se è un assassino può solo che leggere libri del tipo horror – non vi pare? A incominciare dai più vecchi, Bram Stoker, Robert Louis Stevenson, Jack London, Peter Straub, ai più vicini a noi, quali: Stephen King, Anne Rice, W. Peter Blatty, H. P. Lovecraft, Alicia Highsmith. Perché non il sempre valido E. Allan Poe, che ha riempito le nostre notti di tenebre e paure? E che paure erano quelle, con tutte le creature incantevoli che il cinema dell’epoca propinava agli aficionado del genere: volti meravigliosi, corpi attraenti, voci seducenti, che uno poco che fosse tendenzialmente stupratore o praticante violentatore, dopo averle baciate e concupite, non avrebbe potuto fare altro che di afferrarle per il collo e strangolarle. Così, solo per guardare negli occhi il loro terrore, per misurarne lo sgomento, testarne la paura. Perché sono del parere, e con me lo sono tutti i registi del genere, hanno in mente una sola cosa: che la bellezza, una volta sfolgorata nell’incanto, deve risplendere solo per noi. Malgrado anche per noi, l’incanto non possa durare all’infinito, e debba cedere alla necessità di rinnovarsi, cambiare soggetto per riaffermare ¬e avvalorare la propria tendenza all’assoluto, all’eterno splendore. E la bellezza del corpo femminile è quanto di più è dato da ammirare, anche se … “L’incanto è il più potente effetto delle donne e, per usare un linguaggio del filosofo, un effetto a distanza, una actio in distans: ma ci vuole appunto – in primo luogo e soprattutto – distanza!” (*), altrimenti … Ma questo è ancora Nietzsche, che sorpresa! Ancora lui, sempre lui, il ragno argentato che, appeso al suo filo di seta, discende dal soffitto a colloquiare con la sua preda. Il prof che legge Allan Poe, che meraviglia; shissà se Il pozzo e il pendolo, un classico in cui confluiscono al massimo grado di espressività tutte le caratteristiche distintive della sua scrittura; uno dei migliori racconti di tensione mai scritti, sospeso fra angoscia e speranza, chiuso in una spirale vorticosa di eventi. Oppure La caduta della Casa Usher?, un indubbio capolavoro che mi sembra certamente adeguato al soggetto: “In una giornata, cupa, silenziosa, verso il finire dell’anno, con le nubi che pendevano basse e opprimenti in cielo, avevo attraversato solo, a cavallo, un tratto di regione singolarmente desolato, finché ero venuto a trovarmi, mentre già si allungavano le ombre della sera, in prossimità della malinconica Casa Usher. Non so bene come, ma al primo sguardo che rivolsi all’edificio, un senso di tristezza intollerabile invase il mio spirito” (**) – e questo è solo l’incipit, ce n’è da farsi venire i brividi. Quello che segue è un racconto “disperato” che A. Poe abbia mai scritto e quello che rappresenta meglio la sua geniale e terribile personalità. Mai è stato rappresentato con più evidenza il conflitto fra la ragione e il mistero della psiche e della vita, di fronte al quale le armi stesse della ragione risultano fatalmente inadeguate. E non a caso in questo breve racconto, l’io narrante raggiunge l’amico Roderick Usher nella sua casa, come anch’io vado facendo, indirizzando i passi, ops!, i miei sguardi, alla casa di fronte dove spero, no anzi, voglio che accadano cose inenarrabili. Perché è del volere la forza che mi spinge, estrema conseguenza della volontà di potenza trovata in Nietzsche e che, coglione come sono, mi permette ora di attendere all’accettazione dell’eterno ritorno. Il primo ad accorgersi della mia presenza è proprio lui, il ragno argentato (alias Nietzsche), a causa di una vibrazione percettibile dell’aria, della presenza di un tepore insolito a infastidirlo. Poiché, vedendo il mio sguardo posato su di sé, gira all’indietro i suoi bulbi oculari ed agita fortemente il filo di seta che pende dal soffitto, come fosse la fune tenuta da un funambolo che si spinge a volteggiare nell’aria e decide di eseguire il suo numero e incantare così il suo unico spettatore, io, per imbrigliarmi nelle sue spire di seta e rendere innocuo un mio possibile intervento in aiuto del prof. Si dice a ragione che un assassino torna sempre sul luogo del delitto, orbene, eccomi tornato a influenzare la decisione del professore, a stillare nella sua mente il mio messaggio subliminale, a dirgli che deve (pena la propria morte) schiacciare quel mellifluo bastardo di un ragno filosofo (alias Nietzsche), che tiene prigioniera una parafrasi insoluta che nulla dice della sua liquida esistenza. Ma è troppo tardi. Il professore, che credevo essere in vita, in realtà è immobile, con in mano il libro che stava leggendo, avvoltolato in fasci di fili di seta, con lo sguardo vitreo dietro gli occhiali, morto. Solo adesso mi accorgo che sta facendo buio, fra poco le luci della casa di fronte si accenderanno e certamente potrò scrutare meglio nei suoi meandri … Quand’ecco si accendono. Tutta la stanza è rivestita delle spire di seta che avvolgono i libri conservati negli scafali, le pregiate rilegature in pelle, in stoffa, colmi di parole soffocate in migliaia di sillabe incerte. A grida s’agitano ombre alle pareti, cocci, ciotole, pennelli d’ingenue scaramucce con la tela, smunte candele di antiche lotte con le tenebre ove finanche l’io (narrante) diventa oggetto fra le coperte del letto dismesso, fra le molte carte ormai senza più senso, dove solo l’arido sguardo accumula polvere dove più ce n’è. Povero professore, mi dico, non gli resta che un battito di solitudine prima della fine, a colmare il vuoto che lo circonda, prima di rimanere schiacciato al suolo della sua “stanza dei giochi impossibili”, dove nessuno avrebbe improvvisato nulla, dove tutto era già detto, tutto era già scritto, schiacciato entro logori epitaffi. Ancorché lo vedo arrivare, il bellissimo ragno argentato non più grande di un pollice, scintillante e altero, scendere dal soffitto col suo fascino incantatore che tenta di afferrarmi. Non so che fare, se lo uccido rischio di mettere a repentaglio il cammino di tanto pensare filosofico che eminenti studiosi hanno affrontato fin qui – mi dico. Se non lo faccio, azzardo un’incognita che potrebbe mettere in pericolo la mia già minata esistenza. Ne vale la mia stessa sopravvivenza penso, vedendolo avanzare all’altezza dei miei occhi. Che voglia rendermi cieco? – mi chiedo, davanti all’abbaglio folgorante dell’autore del libro che riesco appena a leggere nel dorso del libro trattenuto dalla mano dell’anziano professore: Nietzsche Opere. Sì, lui, l’unico, l’estremo, l’assoluto. Mi sembra incredibile, tuttavia devo ammettere che è quello che veramente ha intenzione di fare, penetrare attraverso il mio sguardo, la ragnatela della mia mente, e abbattermi sul suo stesso terremo ramificato. Avverto gli impulsi elettrici raggiungere i primi centri nervosi, poiché un sottile pizzicore urticante mi procura adesso l’umidore degli occhi. Devo fare in fretta – mi dico, e non solo perché guardando l’orologio noto che s’avvicina l’ora in cui Ann e i ragazzi tornano dal Parco, ma perché devo liberare la stanza da letto della ragnatela presente nell’angolo del soffitto. Accipicchia, glielo avevo promesso! Squilla il telefono, non intendo rispondere – mi dico. Squilla di nuovo, e ancora, e ancora … George, perché non rispondi, potrebbe essere un’urgenza, mi dico. Ormai si vive di urgenze, nulla più che abbia un andamento tranquillo, solo una continua urgenza. Ma non è possibile, non si vive più in questa casa! – esclamo. Vado a rispondere. Ann, sei tu. Si, ma dimmi, che cosa è successo? Niente di che, ero sulla scala e non mi era possibile venire a rispondere. Ascolta George, forse non te ne sei accorto, ma se ti affacci dalla finestra vedrai che sta per arrivare un temporale e noi siamo senza le mantelle per la pioggia, puoi venirci a prendere con l’auto all’uscita del Parco? Si certo, quale uscita intendi Ann? Facciamo di fronte a Queensway, o preferisci Hyde Park Corner? Non saprei, dimmi tu, sono entrambe impossibili a quest’ora. Vada per Queensway, ok! Tra quanto? Il prima possibile, diciamo che praticamente siamo già lì. La fretta, si dice, è consigliera di … ? Non mi viene, diciamo solo che è cattiva consigliera, penso, nel mentre posiziono la scala in camera da letto, prendo il piumino più lungo, faccio per spazzare via la ragnatela quando lo vedo arrivare, il malefico e bellissimo ragno argentato, si sofferma come a chiedersi cosa ho intenzione di fare. Mi osserva minaccioso, temo sappia che ho preso la mia decisione. Pessima idea. In un istante, e proprio mentre sto per colpirlo, schizza via sulla sua fune da acrobata in un’altra direzione, distante dalla mia portata. Ci riprovo da quella posizione ma sbilanciato come sono, perdo l’equilibrio. Mi aggrappo allo sportello dell’armadio che a causa di una cerniera guasta e mai riparata, si stacca dal supporto lasciandomi cadere, andando a urtare contro la piccola libreria d’angolo che viene giù in un tonfo con tutto il suo contenuto. Grrr, grrr! – esclamo alla volta del ragno sfuggito alla mia vista. Quando eccolo di nuovo lo vedo librarsi nell’aria appeso alla sua fune d’argento. Incredibile come scende rapido. Ci risiamo, si ferma davanti al mio viso, in mezzo ai miei occhi, mi sfida. In quel frangente infinitesimale, ècco squilla di nuovo il telefono. All’improvviso un tuono strepitoso ferisce le mie orecchie, inizia il temporale – mi dico. George, ma che fine hai fatto? Qui sta arrivando un uragano! – impreca Ann dall’altra parte del telefono. Ti prego, non mi parte l’auto, non so davvero cosa fare, ti suggerisco di prendere un taxi. Beh George, potevi anche dirmelo prima, non credi? Vi aspetto a casa, vi amo, addio! – le dico. Veramente stavo per dirle di non tornare subito, magari di aspettare un po’, di godersi il temporale, di far fare ai ragazzi un giro turistico della città, giusto il tempo per rimettere ogni cosa al suo posto … ma è tardi, ormai ha riattaccato. E poi chissà cosa avrebbe mai pensato, valle a capire le donne? Stavolta lo faccio secco! – mi dico senza lasciargli intuire il mio pensiero (pura illusione), faccio finta di guardarlo dimesso, anzi che non mi curo di lui. Mi rialzo dal pavimento, lui ritira in parte la sua fune, rimetto a posto la scala e indifferente salgo i primi gradini. Lui con un balzo è lì, a difendere la sua Casa di Usher, pensando chissà che cosa. Affari suoi. Non sa che negli sportelli alti dell’armadio c’è ogni sorta di cosa adatta a far fuori un esercito – mi dico. Rovisto nel primo che capita e trovo una racchetta da tennis che non ricordo di aver mai usata, un vecchio battipanni di vimini intrecciato che non so a chi sia appartenuto, una gabbia vuota per gli uccellini, un frullatore in disuso, un ventilatore anni ’50, un cannocchiale senza treppiedi, una lampada a gas con una scatola di fiammiferi … Ci sono, una lampada a gas del tipo da idraulico può fare al caso. Aziono lo stantuffo e faccio per accenderla. La fiammella dapprima blu si fa rossa, infuocata, brucia, apro di più il gettito, e la fiamma avvampa la tela del ragno, lasciando una macchia di nero fumo sulla parete e una puzza di petrolio che invade la stanza. Del ostro malefico nemmeno l’ombra, neppure lo sfrigolio bruciato della sua peluria argentata, delle sue zampette rinsecchite. Dove mai si sarà cacciato? – mi chiedo ormai fuori di me. Nella distrazione la lampada a gas sta continuando a bruciare, ha già attaccato il piano alto dell’armadio. Dell’acqua presto – chiedo a qualcuno che non può sentirmi ... Fuggo inorridito dalla stanza, come l’io narrante alla fine fa “… da quella camera e da quella casa”. Nel frattempo sento la chiave che gira nella toppa della porta di casa, allora prendo e mi chiudo in bagno lasciando scorrere l’acqua della doccia. George, dove sei? Sono in bagno! Mommy che puzza! Si, c’è davvero un pessimo odore! George che cosa stai usando, sembrerebbe che ti sia dato fuoco? Quasi, mi viene da risponderle, nient’altro ma non glielo dico. George tutto bene? Sì, perché – chiedo facendo finta di niente, mentre fuori il temporale annunciato da Ann, sta davvero prendendo le dimensioni di un uragano. È così che dalla finestra del bagno sbircio la casa di fronte che sembra sbattuta da una collera mortale … “A un tratto una luce abbagliante balenò sul viottolo e io mi volsi a guardare da dove poteva provenire un così insolito fulgore, giacché alle mie spalle non c’erano che l’immensa casa e le sue ombre. (…) Mentre guardavo, (…) il turbine di vento infuriò nell’aria, (…) la mia mente vacillò, mentre vedevo le possenti mura spalancarsi; s’intese un suono lungo, tumultuoso, simile al frastuono di mille acque, e il profondo stagno ai miei piedi si chiuse cupo e silenzioso sulle rovine della “Casa Usher”” (**).
Forse, alla fine, l’ho ucciso davvero Nietzsche (alias il ragno argentato), se oggi sono qui che scrivo, senza il supporto della sua filosofia estrema. La casa di fronte è ancora la, in piedi, un po’ malmessa, anche se ho sentito in giro che è rimasta disabitata dopo che il vecchio che l’abitava era morto, e che ad accendere le luci è il portiere, alfine di non lasciar pensare che sia vuota e magari introdurvisi. Non tanto per il timore di possibili ladri ma per esplicito volere del professore, che dicono talvolta si vede passare davanti alle finestre, e la notte sedere in poltrona a leggere.
Sta di fatto, che fino a questo momento non mi sembra ancora di aver aperto gli occhi. Ho forse sognato? – mi chiedo, mentre mi sforzo di indovinare chi io sia dei due, se l’anziano prof o il malefico ragno, di certo so di aver abitato in quella casa.
Note: (*) Nietzsche “I grandi filosofi” – Il Sole 24Ore – 2006 – Milano. (**) E. A. Poe “Il crollo della casa Usher” – Gruppo Editoriale L’Espresso – Roma2009.
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