"Non dimenticate che siete pellegrini
su questa terra...
...e che la vostra dimora è in cielo."
(Dai messaggi di Medjugorje.)
C'era una volta un prigioniero.
Dietro le strette sbarre attendeva affamato che i suoi carcerieri gli portassero il pasto quotidiano. Quando udì i loro passi approssimarsi, si rincantucciò in un angolo dell'angusta prigione. I due carcerieri, un maschio e una femmina, aprirono appena il portello e posarono all'interno la ciotola col cibo. Lo richiusero e rimasero a osservare il prigioniero, che li guardava immobile.
"Non s'è ancora abituato." disse lui.
"È sempre vissuto libero." disse lei.
"Si sta riprendendo. È meno debole dei giorni scorsi e sta guarendo rapidamente."
"Adesso andiamo, lasciamolo mangiare."
Allorché essi si allontanarono egli si accostò alla ciotola colma di carne cruda e con ingordigia ingoiò in breve i brani sanguinolenti.
L'indomani, allorquando i due ragazzi ritornarono, lo trovarono rinvigorito ancor di più. Al tal punto che, appena loro socchiusero il portello della gabbia, balzò dal suo cantuccio e sgusciò fuori, prendendoli di sorpresa. Loro provarono ad afferrarlo, ma lui con lunghe falcate delle sue zampe riuscì a fuggire.
Vagò un po' per la campagna, cercando un luogo in cui nascondersi, sperando di non essere beccato. Finché finì nei pressi di uno steccato. Si accorse che una tavoletta era mezza rotta. S'infilò dentro, andando addosso a un grosso gallo. Quello lo guardò dall'alto in basso irato.
"E tu chi sei?!" chiese a cresta eretta.
"Scusami, non l'ho fatto apposta. Io non sono del posto." gli disse lui.
"Si vede. Chiunque mi conosce non avrebbe il coraggio d'introdursi nel mio pollaio. Che cosa cerchi?" aggiunse aggressivo il gallo.
Lui non gli rispose. Rischiava di essere ripreso e richiuso in gabbia. I molti polli si avvicinarono incuriositi a osservare l'estraneo.
"È strano."
"Non è uno di noi."
"Ma che animale sei?"
"Da dove vieni?"
Per lui le loro erano domande dolorose. Quesiti ai quali non sapeva rispondere. Perché non sapeva chi era. Ogni volta che cercava una risposta, trovava nella propria mente come un muro, nero e duro. Una barriera che non riusciva a superare, per quanti tentativi faticosi facesse. La sua era una memoria menomata. Non sapeva perché.
"Non so dove andare. Io vorrei restare un poco qui, se non disturbo." disse a disagio.
"Se vuoi puoi pure rimanere, ma ricorda chi comanda!" lo avvisò altezzoso il gallo.
E così l'evaso smemorato rimase rifugiato nel pollaio. Quando veniva il padrone per portare ai polli il becchime, si celava nel capanno. Quel cibo non era certo idoneo a lui, e quindi patì la fame. Sopravviveva nutrendosi con i pochi topi che poteva catturare. E doveva sopportare i soprusi del gallo tiranno. Inoltre tanti polli gli facevano pesare il fatto d'essere diverso da loro.
"Non sa neppure razzolare."
"Che razza d'animale."
"Che unghie lunghe hai."
"Con un becco così adunco come fai?"
"Ali così qui non si son viste mai."
Il suo disagio diveniva sempre più profondo. Si sentiva sempre più estraneo nel mondo. Uno solo tra loro lo trattava con rispetto, e poi anche con affetto. Era una bella pollastrella, nella quale trovava un po' di conforto, e a cui confidava un suo confuso ricordo. Le diceva che a volte aveva come un lampo di luce, di libertà, di leggerezza, che gli causava una struggente tristezza. Era come un ricordo d'identità dimenticata, di felicità perduta. Lei non afferrava, ma l'ascoltava con dolcezza, sin quando un giorno con tenerezza gli pigolò di amarlo.
Ma il gallo s'avvide dei due. Geloso e furioso s'avventò contro l'avversario e lo colpì col becco sul capo, strappandogli un ciuffo di piume e facendolo sanguinare. Tutti i polli osservarono la scena. Lui rimase alcuni momenti intontito dalla violenta beccata. Dopo di colpo gli tornò la memoria. Allora si rizzò sulle zampe, aprì le ali, alzò la testa e si parò davanti al rivale, minaccioso.
"Io sono un falco!" gli gridò orgoglioso.
Il gallo indietreggiò intimorito. Il falco con facilità poteva balzargli addosso, afferrarlo coi forti artigli e aprirgli la gola con una sola beccata del suo affilato rostro da rapace. Però non lo fece. Lui uccideva solo le prede per cibarsi, secondo la legge della natura.
Il suo passato adesso non era più immerso nelle tenebre, ma era emerso nella luce. Il falco pellegrino ricordò la gioiosa sensazione che quella primavera provava mentre migrava. Ricordò il dolore lancinante alle ali, lacerate dal rovente piombo di qualche bracconiere. Ricordò il pesante precipitare e la perdita della memoria nell'impatto col terreno. Poi era stato dai due ragazzi raccolto e curato, con l'intento di liberarlo quando fosse guarito.
La bella pollastrella gli si strinse contro con trasporto. "Hai messo a posto quel prepotente e antipatico." tubò con amore e ammirazione.
I polli raccolti a crocchi chioccolavano scioccati l'accaduto. Lui levò lo sguardo e cominciò ad agitare le sue ali lunghe e strette, adatte ad alte acrobazie. Adesso che era guarito finalmente nel corpo e nella mente, che aveva ritrovato se stesso, poteva ritornare a volare, poteva riprendere il proprio viaggio. Dal cielo era caduto, e nel cielo doveva ascendere. Egli era un essere alato creato per volare. La sua vita vera non era nel recinto del pollaio, ma nell'immensità del cielo. Lei guardò le sue ali frementi, guardò i suoi occhi lucenti, e sentì una fitta nel petto.
"Devo andare." le disse dispiaciuto.
"È giusto. Lo capisco." gli disse a capo chino con appena una vena di voce.
"Forse non ci vedremo più."
"Sì, lo so. Le mie ali non mi permettono purtroppo di seguirti, ma dovunque tu andrai il mio cuore volerà sempre insieme a te. Sempre."
Lui allora si staccò col becco una piccola piuma pettorale. "Con questa potrà volare lieve e veloce come me." le disse donandogliela.
Lei la prese e la mise tra quelle del suo petto. Da tutti osservato il falco balzò con pochi colpi d'ali in aria e s'alzò con pochi cerchi nella luce del cielo. Riprovò l'ebbrezza di libertà e leggerezza. Ritrovò la felicità perduta per la penosa caduta. La sua dura caduta sulla terra era finalmente finita. Il falco pellegrino ancora non ricordava da dove veniva e dove andava, però il suo istinto infallibile indirizzava il viaggio verso la meta giusta.
Il falco riprese a volare verso il sole.
(Racconto insignito della menzione d'onore nel premio Trofeo Penna d'Autore.)
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