Pubblicato il 04/12/2013 23:12:17
Io sono Li regia di Andrea Segre (un regista occidentale che guarda a Oriente)
Alla mattina offeso alla sera deriso pur umiliato, intreccio orchidee …
Delicato come le sue brume, reale come le reti grondanti pesce, il film galleggia sulla piccola antica cittàisola di Chioggia, nella laguna veneta, senza debordare in lirismi eccessivi. Il neorealismo della vicenda è raccontato con certo garbo e con la maestria pulita della presa diretta mentre le onde dell’Adriatico ci fanno celesti gli occhi e salate le labbra tra laguna e cielo. Trapela dalle descrizioni il desiderio buono d’incontro con l’altro come fonte di conoscenza e di arricchimento umano e culturale. Bepi, pescatore-poeta di origini slave, è riuscito, negli anni, a bucare il duro guscio diffidente della piccola comunità, e ora si trova con qualche amico all’osteria o al largo per la pesca. Per il resto rimane uno non del posto ed è solo: la moglie è morta e il figlio vorrebbe portarselo a Mestre. Bepi preferisce la propria autonomia e più che il modesto appartamento in affitto, sta bene nel suo casone strappato al mare, che emana un fascino quasi onirico di libertà. Ci va a pescare e a fumare, a prendere qualche pesce da arrostire . Le mani ruvide di vecchio pescatore non lo esonerano dal tracciare un filo intimo che vibra tra le scene quando nella comunità arriva una ragazza madre cinese, gentile e sorridente : Shun Lì. E’ una moderna schiava che deve pagare il debito e che attende in un silenzio che pare un canto il ricongiungimento col suo bambino. Tra il pescatore poeta slavo e l’immigrata barista cinese, distanti e vicini, cade la benda dagli occhi del pregiudizio e così ci accorgiamo che Shun Li ha la stessa voce delicata di ogni madre quando parla al suo bambino, al telefono, in cinese e, a metà del film, non vediamo più i lineamenti orientali della protagonista che nemmeno si sogna di sfiorare le nostre categorie ma che cerca invece di adeguarsi alle abitudini chioggiotte dei frequentatori dell’osteria per fare al meglio il proprio lavoro. E anche la delicata intesa tra Bepi e Shun Li, simbolicamente rappresentata dalla fragile luce rossa del lumicino che galleggia dentro il bar allagato dall’acqua della laguna e dal lirismo misurato della poesia cinese che apre il film, non pare troppo lontana dalla ruvidezza della realtà, bensì rende meno trasparente la presenza di tanti immigrati nelle vie delle nostre città e nel nostro quotidiano Occidente. La cinesina qualsiasi, anonima, che giudichiamo uguale a tutte le altre, ha una sua storia come ogni persona, se ci capita di conoscerla meno distrattamente.
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