Poi lui non volle più mangiare il mio corpo
buono e fragrante come pane fresco
e lo lasciò sul vassoio bianco del letto
a svaporare con il respiro dei rami
e la luce della luna che mi avvolgeva
nella sua carta stagnola per fare di me
la Sirena che canta nel mare rovesciato del cielo.
E nemmeno lo volle a primavera quando il sesso
profuma come un mazzetto di biancospini
dai minuscoli stami troppo rossi.
Girato verso il muro mi offriva la schiena
con le sue costellazioni d’efelidi color del vino
come il mare d’Omero o il cielo arrossato
di nuvole purpuree o le rose covate dalla notte.
Ma ogni tanto sognavo che tutta la nostra stanza
fosse il mare aperto e che noi, dormendo,
eravamo caduti nel cuore dell’acqua
in pieno analfabetico silenzio
dove leggeri e senza riposo come le alghe
andavamo e venivamo dall’uno all’altro corpo
con orgasmi lenti come passi di danza.
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