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Estratto-L’anatema dei sette peccati

di Davide Fresi
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Pubblicato il 15/04/2017 10:34:52

Prima di presentarvi un estratto del mio romanzo, vi fornisco un quadro generale dell'opera. 

 

L’idea della storia raccontata scaturisce dalla suggestione che ha avvinto molti di noi quando abbiamo ipotizzato di disporre di una macchina del tempo: quale epoca storica avremmo voluto visitare? Forse quella in cui era vissuto Gesù di Nazareth? Quali sensazioni avremmo provato parlando viso a viso con Gesù? Quali emozioni avrebbero alimentato in noi i suoi occhi ammalianti? E come avremmo agito se ci fossimo trovati a Gerusalemme durante la sua Passione? Ci saremmo opposti alla crocifissione? Queste sono alcune delle domande che hanno stimolato la fantasia dell’autore. I protagonisti della narrazione, Polibio e Fedro, per un tiro della sorte compiono un viaggio temporale e si ritrovano a conoscere personaggi storici dal grande carisma, da Tiberio Cesare a Ponzio Pilato, da Simon Pietro alla Madonna, e arrivano quasi al punto di cambiare il corso naturale della storia. Nel romanzo è tracciato un brillante affresco di un’epoca che mantiene ancora intatto il suo fascino, ed è raccontato fin dove possa arrivare la ferocia di un uomo che ambisca a conquistare il mondo. Il governatore Marcello non esita a far torturare e crocifiggere una moltitudine di innocenti pur di soddisfare le sue brame. Misteri e colpi di scena si avvicendano pagina dopo pagina in un’incalzante successione. Polibio e Fedro sono arbitri del destino dell’umanità e ben presto ciò che accade fa vacillare ogni naturale certezza.

 

Il romanzo è in vendita online sia come ebook che come cartaceo. L'editore è youcanprint. L'ebook costa 2,99 euro, mentre il cartaceo 13,90 euro (online è previsto uno sconto). Il romanzo è ordinabile anche presso tutte le librerie. Link per l'acquisto, fra gli altri (fate copia incolla): 

https://www.amazon.it/Lanatema-sette-peccati-Davide-Fresi-ebook/dp/B07B2YDJ46/ref=sr_1_2?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1519715063&sr=1-2 

https://www.kobo.com/it/it/ebook/l-anatema-dei-sette-peccati-1

  

ESTRATTO DEL ROMANZO

 

Capitolo I

 

Tutto ebbe inizio una mattina dell’anno 335 a.C., sotto il cielo terso dell’Attica, ad appena qualche chilometro dalla celebrata città di Atene. 

Polibio e il suo socio in affari Fedro erano in viaggio con il loro seguito di carri, colmi di merce pregiata, e di schiavi. Stavano per concludere delle importanti vendite. Essi, dopo aver affrontato una lunga traversata, poche ore prima erano finalmente sbarcati nel porto del Pireo. Ormai li circondava una fitta vegetazione. 

Durante un momento di tregua dalla sollecita marcia, i due mercanti si isolarono dalla comitiva discutendo animatamente di una gravosa questione. Per preservare il riserbo delle confidenze, si scostarono dal gruppo dei fidati schiavi quel tanto sufficiente a sottrarsi dalla loro attenzione. 

Il fermento era dovuto al presunto furto di un monile di cui alcuni servitori accusavano Maysun, un loro giovane compagno. Da tempo erano sorti dei dissapori perché questi aveva coraggiosamente denunciato le abituali prepotenze esercitate dagli schiavi più anziani.  

La sensibilità che caratterizzava Polibio gli imponeva di acclarare per bene i fatti. Egli sapeva perfettamente fino a quali estremi potesse giungere l’acredine dei prepotenti. Aveva constatato come simili individui fossero soliti attribuirsi dei diritti usurpati senza alcun ritegno. Ingiustizie di tal fatta erano inconciliabili con i princìpi che animavano la sua coscienza. 

- Ti ripeto che non intendo negare a Maysun il diritto di difendersi dall’accusa che gli è stata rivolta. Potrebbe trattarsi di una calunnia, - sostenne Polibio, scontrandosi con la rozza superficialità del partner. La stessa con cui spesso aveva dovuto fare i conti.  

- Già. Ma non è la prima volta che lo sorprendiamo a rubare. Dobbiamo punirlo come merita. Gli farò infliggere trenta frustate. Penso che possano bastare. Vedrai che in futuro si asterrà dal compiere simili misfatti, - ribatté Fedro, soffocando il buon senso che gli gridava dentro. 

- In realtà ho l’impressione che il presunto furto sia una messinscena. Sospetto che i suoi accusatori vogliano vendicare dei torti subiti. È necessario sentire le parti in causa per chiarire i fatti. Mi rifiuto di mortificare un uomo senza prima dare luogo a un giusto processo, - insistette Polibio con una fermezza che si conciliava con il suo abituale modo di agire.  

- Come sempre vuoi negare l’evidenza. È chiaro che è colpevole, - non si piegò Fedro. 

- Alla luce di quali elementi puoi affermare ciò? Tu al suo posto, prima di ricevere delle vergate sulla schiena, vorresti essere ascoltato, - lo incalzò Polibio, attingendo a tutta la sua saggezza. 

D’un tratto un famelico gatto, insidiando un topo, si lanciò dalla cima di un albero verso un cespuglio. 

Il tonfo che ne seguì interruppe per sempre il discorso intrapreso. 

Esso rimase sospeso nel vuoto di quella giornata che era destinata a ridisegnare la loro esistenza. Di ciò essi ne furono consapevoli non appena si voltarono.  

La loro attenzione fu catturata da una massiccia struttura in metallo che si poteva scorgere tra una massa di fogliame secco e legno rattrappito. 

Di fronte a questa scoperta rimasero di stucco.  

Essa esulava da tutto ciò che aveva sempre fatto parte del loro mondo. Dall’interno del misterioso congegno filtrava, attraverso una sorta di stretto sportello semiaperto, un fascio di luce sconosciuto. I due mercanti non ne avevano mai visto uno simile in tutta la loro esistenza, neanche nei più reconditi sogni. All’istante dimenticarono persino dove si trovassero. E con le mani che tremavano per l’emozione, s’impegnarono a liberare l’ingresso dal fogliame e dai rami. Esplose dentro di loro il violento impulso di scoprire in cosa si fossero imbattuti. 

Quindi con ogni precauzione spalancarono lo sportello. 

Entrati intrepidamente dentro l’oscuro dispositivo, ebbero la sensazione che in quell’angolo di terra il tempo si fosse come fermato. Non riuscivano a venir fuori dallo stupore che li annebbiava. Che quanto avevano ritrovato abbandonato nel mezzo della campagna fosse una diavoleria prodotta dagli spiriti del male? Si diceva che, quando dominavano le tenebre, simili entità fossero solite flagellare quelle sciagurate terre. E cosa significavano poi quei numeri che essi leggevano sopra un pannello animato da una arcana luce? Che sancissero la fine della loro esistenza?  

Fedro, come suo solito, non rimase a lungo inerte. E cominciò ad azionare senza criterio le strane manovelle che campeggiavano su una parete. Così egli cercava di attenuare l’inquietudine che scaturiva dall’assoluta incapacità di trovare una risposta a innumerevoli domande. Polibio da parte sua percepì il pericolo che una simile iniziativa rappresentava. E senza giri di parole lo redarguì: 

- Fermati! Vuoi forse attirare il castigo degli dèi con la tua noncuranza? 

- Voglio solo capire cosa la sorte ci ha fatto trovare in questo sentiero sperduto… 

Polibio sapeva che quello era l’irresistibile desiderio di entrambi. Ma occorreva essere prudenti. Mentre Fedro persisteva ostinatamente a sfidare la sorte, insinuando le mani laddove non avrebbe dovuto, il compagno fu folgorato da quanto rinvenne alle sue spalle.  

Si trovò davanti centinaia di indefinibili oggetti che non aveva mai visto prima, neanche nelle più fantasiose immaginazioni. Si trattava di una serie di ordinate pile di arnesi che a uno sguardo attento, per via delle scritte che recavano impresse, potevano essere identificati come dei manoscritti. Per un momento egli vacillò davanti a quella sequenza infinita di scritte in latino che peraltro riusciva a decifrare, essendo originario di Roma; aveva ancora nitidi i ricordi della sua giovinezza trascorsa proprio fra i sette colli della città eterna, prima di dedicarsi al commercio in giro per il mondo.  

Per lunghi secondi ignorò perfino chi egli fosse.  

Non riusciva a leggere nella realtà che gli era franata addosso. Poco dopo invitò il socio a voltarsi per renderlo partecipe della straordinaria scoperta, avvenuta all’interno di qualcosa che era, se possibile, ancor più misterioso. 

- Cosa… - le parole si spezzarono sulle labbra di Fedro. I suoi occhi rimasero spalancati. E il respiro gli divenne incerto. 

Avvinti dalla superstizione che li animava, cominciarono a pensare di essere vittime di un diabolico sortilegio. Proprio quando si apprestavano a fuggire da ciò che essi per istinto riconobbero essere la porta d’accesso all’Ade, l’ingresso della macchina infernale si chiuse automaticamente. Quindi qualcosa si azionò facendo sperimentare ai due uomini il peggiore dei loro incubi. 

Si produssero oscillamenti e potenti vibrazioni. Risuonarono sordi boati e vibranti echi. Si alternarono rapidamente un calore intenso e un freddo pungente. Finché infine tutto cessò, lasciando nondimeno senza fiato gli sventurati. 

Essi si guardarono in faccia convinti che il congegno li avesse proiettati nell’oscurità infernale, alle cui porte avrebbero incontrato il mostruoso cane Cerbero e Minosse, Eaco e Radamanto avrebbero giudicato la loro condotta terrena. 

Dunque, nello spazio di una manciata di secondi ogni cosa si era quietata fra quelle metalliche pareti che essi, solo un attimo prima, pensarono fossero prossime a comprimerli in una funerea morsa. Con un pur labile senso di sollievo ricominciarono a percepire il proprio ansimante respiro. Il loro cuore batteva più che mai vorticoso nel petto, parendo sul punto di esplodere e schizzare ovunque tutto il purpureo sangue che fra le sue pieghe scorreva. A quel punto entrambi chiusero gli occhi come se, così facendo, potessero fermare il corso dell’indefinibile giornata che stavano vivendo. Ancora quell’esperienza inquietante non aveva espresso la sua sentenza. 

Polibio richiamò l’attenzione del compagno sulla luminosa scritta che risaltava poco al di sopra delle manovelle. Essa di colpo si era come aggiornata: 

- 335 avanti Cristo, - lesse con un filo di voce, guardando alla sua sinistra, e poi continuò seguendo con gli occhi l’enigmatica didascalia: - 27 Anno Domini… Cosa mai può significare tutto ciò? 

- A mio avviso sto per sperimentare la collera degli dèi per tutte le frodi che ho praticato a scapito di miserabili che meritavano tutt’altro, - azzardò Fedro, assaporando già il gusto amaro che accompagna il castigo delle proprie colpe. 

- C’è solo un modo per scoprirlo. Si tratta di andare incontro al nostro destino uscendo fuori da questo congegno infernale… - e, mentre diceva ciò, Polibio, esitando, allungò la sua incerta mano verso la manopola dello sportello. O essa avrebbe restituito loro la libertà o, con un riverbero orribile, li avrebbe consegnati a eterni supplizi. 

Gli sventurati si chiedevano quale spettacolo terrificante li avrebbe travolti oltrepassando quella labile soglia che ancora li proteggeva dal repentino materializzarsi dei loro più inquietanti incubi. Forse che li attendeva ansioso di punirli Plutone, il temuto dio dei Mondi sotterranei, il quale ne avrebbe sancito la condanna a mille anni di atroci sofferenze fra fiamme ustionanti, lacerazioni fisiche, visioni orribili, miasmi soffocanti e una disperazione senza tregua? Certamente questa era la credenza divulgata dall’insigne Platone in relazione ai più indegni fra gli uomini, prima che ne avvenisse la reincarnazione in un nuovo involucro corporale e traesse così origine un altro ciclo vitale. Quale maledizione era dunque piombata su di loro proprio quel giorno, che prima dell’ora fatidica, pareva scivolare quieto e docile come tanti altri? 

L’indugio non poteva protrarsi oltre.  

Polibio afferrò la strana manopola e in qualche modo riuscì a produrre uno scatto. A seguito di ciò lo sportello lievemente si aprì. Un timido bagliore di sole si fece spazio fra quelle anguste pareti. Eppure, in effetti, non pareva che delle creature orribili li stessero realmente aspettando all’esterno, assetate di sangue e pronte a fare scempio di loro. Che quel raggio di luce piuttosto fosse un assaggio della pace che accarezza senza fine le anime dei giusti negli sconfinati Campi Elisi? Davvero non sapevano più cosa pensare. 

- Pare che il sole splenda più che mai… - disse Fedro appena uscì all’esterno insieme al compagno. Quelle prime sensazioni quietarono un poco la loro dirompente angoscia. 

In apparenza il paesaggio naturale non era cambiato da come lo avevano lasciato poc’anzi. Ovunque svettavano imponenti querce, cipressi e pini carichi di frutto. I ginepri continuavano a spandere intorno a sé un intenso profumo. Più in basso, fra i folti cespugli, il movimento prodotto da piccoli animali alla frenetica ricerca di cibo testimoniava il persistere delle dinamiche della vita. Nel cielo i volatili tracciavano senza sosta le loro parabole, alla ricerca di insetti con cui poter nutrire i propri piccoli che, affamati, pazientavano tutto il tempo nei nidi. La natura dominava incontrastata. Fra quei rigogliosi alberi la realtà umana, con tutte le sue contraddizioni, non faceva sentire il suo fiato. 

- Non riesco a capire… - sentenziò Polibio. - Quale diabolico scherzo ci ha riservato il destino? 

- Non ci resta altro da fare che ritornare senza indugio presso la carovana e provare a dimenticare questa singolare esperienza. Qualsiasi significato essa racchiuda. La seppelliremo nei nostri ricordi, - ragionò Fedro. 

Eppure, raggiunto il sentiero a pochi metri di distanza, essi non ritrovarono alcuna traccia del nutrito convoglio, composto da decine di carri carichi di ogni genere di mercanzia, che con la sua imponente mole era diretto verso Atene. Per lunghi minuti, dimenandosi, perlustrarono la strada sterrata oltre ogni svincolo e ogni barriera visiva costituita da grossi alberi o dalla fitta vegetazione.  

Tuttavia, niente. 

A quel punto si guardarono in faccia a bocca aperta, chiedendosi come potesse d’un tratto essersi volatilizzato ciò che, secondo ragionevolezza, avrebbe dovuto occupare ampiamente quel remoto sentiero. 

Dunque, era veramente successo qualcosa d’imponderabile. 

In quegli istanti davanti a loro una leggera brezza increspò i rami frondosi di alti sicomori. Essi parvero assumere le sembianze di inquietanti creature intente impietosamente a sorridere della devastante paura che li pervadeva. Ogni cosa pareva prendersi gioco di loro. 

- Vedo in tutto ciò la potente mano di Giove, governatore del cielo e della terra, - osservò, senza riuscire a fermarsi un attimo, Polibio. 

- Ma che senso può avere quanto stiamo vivendo? - Non si dava pace Fedro. 

- Io penso che la risposta alla tua domanda la possiamo trovare solo tornando laddove quest’oggi ha avuto origine ogni nostra sventura. 

- Non so se sia una buona idea. 

- Qualora pure ci attenda un amaro destino, preferisco affrontarlo da uomo come avrebbero fatto i nostri nobili antenati, piuttosto che nascondermi in un cantuccio o scappare vilmente al pari di un ignobile coniglio, - affermò con uno scatto d’orgoglio Polibio. 

- Non posso certo essere da meno… 

Non impiegarono molto a individuare nuovamente fra la vegetazione l’imponente congegno. Si ergeva ancora minaccioso e inquietante. Quando ormai erano sul punto d’introdursi al suo interno, dalle nubi appena addensatesi nel cielo saettò un potente fulmine che andò a infrangersi, squarciandolo, su di un alto olmo proprio a due passi da loro. La mente intrisa di superstizione degli sventurati giudicò questo come un ulteriore presagio infausto circa la bontà dell’iniziativa che avevano assunto. Ma ormai non potevano sottrarsi a qualcosa che stimavano ineludibile. 

Una volta dentro, Polibio localizzò immediatamente su una sporgenza metallica alla sua destra dei rotoli di papiro. Stranamente né lui né il suo compagno durante la prima visita li avevano notati. Pareva senz’altro che qualcuno li avesse lasciati in bella vista deliberatamente. Preso fra le mani il più vicino fra quelli lì deposti, il mercante romano lo srotolò con cura. Quindi, reprimendo a stento l’ansia, si approssimò all’intensa luce che filtrava attraverso lo sportello da cui erano entrati. 

- È vergato in latino, - riferì subito all’amico. 

- Coraggio, leggi quanto vi è riportato. 

- “Sicuramente, chiunque voi siate, vi starete domandando con un incontenibile timore che cosa un arcano destino vi ha fatto rinvenire in questo sperduto bosco dell’Attica. Ebbene, ora io risponderò a tutte le prepotenti e legittime domande che inevitabilmente germogliano nei vostri cuori ogni istante che passa. Dovete sapere che il dispositivo che avete trovato è il prodotto di ferventi studi e ricerche le quali, attraverso vie ai più imperscrutabili, hanno infine portato l’uomo a decodificare ogni singolo aspetto del mondo naturale e delle sottili leggi che lo regolano. L’intelletto umano, come un fiume in piena, si è spinto talmente avanti nel suo desiderio di onnipotenza da voler esercitare il proprio dominio anche su ciò che da sempre è sfuggito al suo controllo, ovverosia il tempo.  

Non avete capito male. Vi trovate effettivamente in una sorta di cavallo di Troia che rende possibile il viaggio temporale. Conoscendo la rozza cultura propria della vostra civiltà, temo a questo punto che il turbinare degli eventi vi porti a sentirvi vittima dello spietato tiro di una qualche divinità. Senza indugio vi invito a respingere ogni fluttuante pensiero di tale natura. L’evidenza di quanto avete davanti agli occhi vi deve convincere dell’inattaccabile ragionevolezza della lettura degli avvenimenti che, per puro e disinteressato compatimento della vostra sorte, desidero fornirvi. L’umanità che mi è propria mi sprona a mettervi in guardia dai pericoli contro cui potreste miseramente infrangervi, essendo voi alla mercé di un amaro destino che vi ha condotto laddove ogni speranza umana è facile a svanire nel nulla. 

Vi esorto a vigilare affinché ciò in cui vi siete imbattuti non vi si rivolti contro e finisca con l’annientarvi. Io stesso e il mio compagno, al principio della nostra avventura, ci troviamo in una situazione analoga per incertezza a quella in cui voi vi dibattete. Non voglio approfondire ora simili discorsi, né rivelare per quali vie abbiamo intenzione di dirigere i nostri passi su queste terre. Sarebbe qualcosa d’inappropriato alla circostanza… Mi auguro che la sorte mostri il suo volto più benevolo a tutti noi. 

Per comprovare l’affidabilità della presente testimonianza, vi invito a consultare i manoscritti che immagino abbiano già catturato la vostra sconcertata attenzione. Essi riassumono e analizzano a fondo la storia delle più straordinarie civiltà che si sono sviluppate o si svilupperanno a partire dalla vostra epoca fino al XXI secolo. Proprio così. Fra quelle pagine è accessibile a voi il discernimento degli effettivi impulsi che ispireranno le gesta di illustri re e imperatori. Ora che siete sul punto di divenire partecipi di un simile tripudio di conoscenza, sforzatevi di farne un buon uso. I manoscritti in questione rappresentano una preziosa chiave capace di dischiudere il più inestimabile dei tesori, cioè il cuore dell’uomo. 

Prima di lasciarvi al vostro destino, vi esorto a non dimenticare queste mie ultime parole: ciascun uomo è più forte dell’universale fatalità.” 

Conclusa la lettura, il silenzio più assoluto fagocitò ogni cosa. I due si guardarono per interminabili secondi negli occhi senza riuscire a proferire alcuna parola. Mai avrebbero pensato di vivere un’esperienza come quella. Essa non avrebbe trovato spazio neanche fra i peggiori auguri da rivolgere ai loro nemici, per quanto a Fedro non mancassero di certo. 

Dopo un poco si dissipò l’intensa nebbia che quel susseguirsi d’inconcepibili avvenimenti aveva generato. La realtà cominciò a divenire più nitida nei suoi contorni. Polibio allora, osservando la luminosa scritta che continuava a risaltare davanti a loro carica di mistero, azzardò con un sottile intuito: 

- Sono convinto che questa didascalia rappresenti la soluzione di ogni enigma. Cosa può significare? 

- 335 avanti Cristo e 27 Anno Domini. Mah… chi potrebbe essere il Dominus a cui si allude? - s’interrogò Fedro inarcando le sopracciglia. 

- Forse qualche esimio sovrano o un grande benefattore. E quei numeri potrebbero indicare un periodo di tempo precedente e successivo a qualche avvenimento che a lui si riferisce, - ragionò Polibio. 

- Già, ma quale? 

- Magari la sua morte o la sua nascita… 

- Costui dovrebbe essere un personaggio veramente eccelso se, per qualcosa che a lui attiene, è stato assunto come punto di riferimento addirittura per un arco di tempo di alcuni secoli. 

- Ma proviamo un attimo a ragionare… Se quel rotolo di papiro è attendibile, e ciò lo scopriremo presto, significa che ci troviamo all’interno di un fantastico dispositivo che in qualche maniera consente il viaggio temporale, - cominciò a riflettere Polibio. - Pertanto, deduco che quei numeri indichino semplicemente due differenti periodi storici, qualunque essi siano. Il primo, 335 avanti Cristo, dovrebbe essere l’anno in cui vivevamo prima che ci travolgesse un incubo ogni istante più sconvolgente. Mentre 27 Anno Domini suppongo sia l’anno in cui ci ha disgraziatamente catapultato questa lugubre macchina. 

- Brillante ricostruzione. Ma è solo una possibilità, per quanto verosimile, - smorzò l’entusiasmo Fedro. 

- Ritornando al contenuto del papiro, ritengo ora necessario studiare a fondo i singolari manoscritti che colmano questa parete. Un lungo lavoro ci attende… - sostenne Polibio volgendosi verso la catasta di libri alle sue spalle. 

- Bene, vediamo un po’… Historiae Romanae di Caio Velleio Patercolo, Annales di Cornelio Tacito, Historiae Romanae di Cassio Dione, Historiae Romanae di Tito Livio, Vitae Caesarum di Gaio Svetonio Tranquillo. Beh, non conosco assolutamente questi autori e le loro opere. Forse a te risultano familiari? - chiese Fedro. 

- Mai sentiti nominare. Comunque i testi che hai nominato paiono attenere tutti alla storia della mia patria. A questo punto è probabile che fra quelle pagine sia proprio riassunta la storia di essa nei secoli a venire. 

Appena Polibio finì di pronunciare queste parole, all’esterno un soffio di vento impetuoso smosse con forza le cime degli alberi richiamando l’attenzione degli sventurati verso la boscaglia. Le tenebre stavano cominciando ad abbracciare ogni cosa. Le indagini dovevano essere rimandate al giorno dopo. 

Dopo aver rapidamente nascosto il congegno per mezzo del fogliame disponibile, andarono in cerca di un rifugio per la notte. Seguirono un sentiero finché non individuarono un capanno abbandonato. Entrati al suo interno, essendo soddisfatti della sistemazione, si disposero a trascorrere lì la nottata. Essa non sarebbe stata certo beata, ma lunga e insonne. Il peso che i due portavano dentro era arduo da sostenere. 

- Continuo a pensare che tutto per noi sarebbe più chiaro, qualora riuscissimo a capire a chi si riferisce il termine Dominus, - sostenne Polibio. 

- Giusto. Come sempre ti riveli il più sagace fra noi. Forse così sapremmo anche in quale epoca storica ci troviamo… 

- Per apprendere ciò sarà sufficiente, penso, raggiungere Atene e fare un’indagine. 

Quella notte i due uomini d’affari si chiesero da quale scherzo del destino fossero stati raggiunti. Quale sviluppo avrebbe assunto la loro esistenza alla luce degli ultimi avvenimenti? Era reale quanto essi avevano appena vissuto o forse si trattava di un incubo pregno di parvenze di verità, dal quale faticavano a risvegliarsi? In particolare Fedro si domandava se tutto ciò non fosse una sinistra macchinazione degli dèi per punire l’arroganza con cui egli abitualmente si atteggiava. E se il viaggio temporale fosse davvero avvenuto, quale sarebbe stata la loro nuova ragione di vita da perseguire con tutte le forze e su cui modellare ogni pianificazione? Tutte queste erano le mute domande che essi si ponevano nel silenzio del capanno, mentre attendevano che il nuovo giorno dissipasse almeno in parte la gravosa incertezza che li tormentava. Volgendo d’impeto lo sguardo verso l’orizzonte, ancora non riuscivano a leggere fra le sue righe. Ma sapevano che presto i contorni malfermi della realtà si sarebbero definiti davanti a loro. E questo era forse ciò che più li teneva in ansia.

 

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