Pubblicato il 14/06/2011 21:33:58
Proposta di intitolazione del cimitero per cani e gatti di Agropoli “CIMITERO PER UN ANIMALE QUALSIASI”
Il libro “BESTIARIO CILENTANO”, edito dalla Libera Università Internazionale di arte, lettere, musica e storia onlus, di Agropoli, primo premio per la saggistica al Concorso Letterario del Comune di Bellizzi, autore Catello Nastro, si candida per l’intitolazione del costruendo cimitero per cani e gatti voluto dall’attivo e fattivo sindaco della città di Agropoli, avvocato Franco Alfieri. Un doveroso omaggio a tutti gli amici animali di compagnia, ad incominciare da cane e gatti, ma senza escludere altri meno numerosi ma pur sempre affettuosi e cari in particolare modo alle persone anziane e sole. Nei giorni scorsi il professore Catello Nastro ha inviato una richiesta di intitolazione della costruenda struttura a “CIMITERO PER UN ANIMALE QUALSIASI”. Il titolo è ispirato all’ultimo racconto del libro che parla un poco di tutti gli animali del Cilento, ivi incluso la civetta che rappresenta il simbolo del territorio. Il libro sopra citato, tempo addietro, oltre ad avere l’ambito riconoscimento a Bellizzi è stato presentato, di fronte ad un’aula gremita di amici delle animali e personaggi del mondo dell’arte e della cultura. Esso si conclude con il capitolo “Storia di un animale qualsiasi” in cui il meticcio Labrador, vissuto nel giardino dell’autore per circa sedici anni, quasi personificato, ha avuto il merito, oltre ad essere ricordato in un libro di successo, di essere immortalato dalla lettura di Gilberto Calindri, che ha commosso a tal punto i presenti, che una ventina di attempate signorie hanno versato lagrime abbondanti in particolare modo quando si è arrivati alla morte dell’animale. Come cronisti attenti ed oculati riteniamo opportuno riportare l’intero capitolo, dedicato a Bidy, un cane pacifista, di tanta compagnia. Questa la storia di “un animale qualsiasi”.
“Quando morì il preside, la sua compagna non volle più tenermi con se e mi fece capire chiaramente che era meglio che traslocassi in altra sede. Come un emigrante clandestino e senza permesso di soggiorno, ho vagato solamente una mezza giornata. Sono stato molto fortunato perché ho trovato ospitalità, ed impiego, a meno di duecento metri da dove abitavo, nella verde vallata di Frascinelle. Mi sono presentato davanti al cancello di una casa di campagna immersa nel verde e qui ho conosciuto quello che doveva essere il mio nuovo datore di lavoro, il mio padrone, insomma, come dicevano i capitalisti anche dopo Carlo Marx. Rimanevo nel campo della pubblica istruzione perché, mentre il mio precedente dirigente era un preside, quello che aveva trovato, era un semplice professore di lettere, di scuola media,naturalmente in pensione da pochi anni. La sua storia non ve la racconto perché penso oramai che siete stanchi per averla già letta sui suoi libri, sul suo giornale, su varie riviste ed anche su molti siti internet. Avrete già capito che ero diventato ospite nientepopodimeno dell’illustre maestro, pluriaccademico, professor, dottor, cavaliere, Catello Nastro, poeta, scrittore e critico d’arte. Per farmi assumere dal nuovo datore di lavoro e di…sostentamento quotidiano, mi presentai come cane da guardia. Ero giovane, potevo avere due o tre anni, che equivalgono a quindici – venti anni degli esseri umani, inoltre ero di lontane origini labradoregne, di bello aspetto, biondo, anzi fulvo per meglio dire, dal fisico robusto ma ben proporzionato e poi ero molto simpatico, quasi sorridente. Ricordo ancora il primo giorno, sarà stato nel 1995 o 1996, non ricordo. Lo guardai e lo salutai scodinzolando. - E tu mo’ che vaje truvanne…- mi domandò. - Scusate, ve servesse nu’ cane ra’ guardia? – gli risposi. - Ma tu non pare proprio nu’ cane ra’ guardia, pare nu’ cane ‘e signore…- - Certamente nun songo ‘nu pitbullo o ‘nu rutvailerro, ca’ chilli songo overamente cammurristi, ma a casa vosta v’a’ saccio vuardà. Basta ca’ me rate ‘a magnà almeno ‘na vota ‘o juorno e me purtate ogne tanto a passià e ve faccio vedè ca aroppa nun ve ne pentite… - - Va’ bbuono,trase, sì assunto. Sempe però ch’autorizzazione ‘e muglierema. Saje, nun volesse ca’ ‘nge cacciasse fora tutt’è dduje!!! Comunque ti tengo una settimana in prova. Si vaje bbuono t’assumo, si no te ne vaje ‘a ‘n’ata parte. Ha capito bbuono? N’ata cosa: nun parlammo maje ‘e contribbute sì no’ te caccio fora.– - Qua la zampa. Affare fatto… - Entrai nel cortile con tre cancelli e tre scale. La prima portava in cantina e nel pensatoio, dove imbottigliava il vino (Aglianico, Sangiovese e Falanghina) e a tempo perso scriveva libri. Il vino era destinato a lui ed ai suoi amici ed…anche i libri!!! E qui, cari lettori, sono vissuto per circa quindici anni. Il pranzo era buono perché la moglie cucina benissimo ed a lui piace mangiare benissimo. Adesso di meno perché ha il colesterolo ed i tricliceridi. E qui, passai tutto il resto della mia vita. Faccio amicizia con la moglie ( che mi chiama Bidy), con lui (che mi chiama Gaetano), coi figli che (mi chiamano Eustacchio). Comunque il mio datore di lavoro, Don Catello, come scrive sulle etichette dei suoi vini, che io non ho mai voluto assaggiare, o Catello, come lo chiamano gli amici, quando era adirato mi chiamava pure “Animal” oppure “’O animale”. Ma io non mi sono mai offeso. Non mi ha mai picchiato, proprio perché è un animale non violento, come me. Mi portava ogni tanto a passeggio, perché il medico gli aveva ordinato da fare quattro chilometri al giorno a piedi, ed ogni tanto mi portava sul porto col furgone della “Nastro Antichità” dove ho imparato a convivere anche coi tarli. Qualcuno potrà pensare che non avevo una vita sessuale. A dire la verità non sono stato mai un frequentatore abituale, ma molte volte che lasciavano il cancello aperto, sono scappato e mi sono presentato dopo due o tre giorni, sporco, affamato ed un paio di volte anche ferito dal coniuge della fedigrafa. Quante ne ho passate, quante ne ho viste, quante ne ho sopportate assieme a Don Catello. Diventato vecchio, quasi centenario, non servo più. I movimenti sono diventati lenti, gli organi non funzionano più. Insomma la mia vita di pensionato si è ridotta a mangiare, bere, prendere il sole, quando ci sta, dormire, abbaiare quando arriva qualche estraneo. L’artrosi ed i reumatismi in questi ultimi due mesi sono aumentati, l’appetito è diminuito e mangio solo scatolette di carne del discount in offerta speciale, che mi piacciono tanto e poi incomincio il conto alla rovescia. La voce se n’è quasi andata. Non riesco più a fare le scale, le zampe di dietro non funzionano quasi più e sono pieno di piaghe. Don Catello se n’è accorto del mio precario stato di salute, ma sa che ad una certa età si abbandona questo mondo per vecchiaia. Chissà chi di noi due se ne andrà per primo. Mi ha dedicato, in proposito, anche un bel racconto, dal titolo “Terza età” che ha pubblicato su un famoso sito internet, ricevendo molti consensi dai suoi affezionati lettori. Oggi mi ha portato la solita scatoletta a mezzogiorno. Quando ha visto che l’ho rifiutata, subito ha pensato: “Chisto mo’ mme saluta e se ne va all’atu munno!!!”. Si è commosso. Avendo capito il suo stato d’animo, volevo scodinzolare per salutarlo. Ma oramai le forze mi abbandonavano. Ho avuto la forza, comunque, di guardarlo in faccia seriamente, serenamente, quasi per ringraziarlo di tutto quello che ha fatto per me e per dirgli: “ Mo’ me ne vaco primma io. Tu aspetta n’ato ppoco. Tiene mugliera, figli, nuora,niputi. E po’ tiene ra’ pubblicà n’ati cincu libbre. Io nun tengo a nisciuno. Sule a vvuje ca’ mm’avite vuluto bbene e nun m’avite maje trattato cumme n’animale.” Il professore è commosso. Avrebbe voglia di piangere. Dopo pranzo, alle tredici e trenta del 17 novembre 2007, Bidy, ho quasi perso conoscenza. Lo guardo quasi gli volessi dire: “ Fra poco me ne vaco. Te saluto, statte bbuono. Ma rimani contente ca’ me ne vaco primma io. Tu tieni ancora ra fa. Ma a d’à sapè ca’ quante viene Alla’Ngoppa pure tu, si te serve nu’ cane, io stongo sempe a disposizzione. T’aggio futtuto, hè!!! Mo’ me ne vaco primm’io!!! Statte bbuono!”. Alle ore 15,30 io, Bidy, o come mi hanno chiamato, ho lasciato questa terra.” p.s. Non riesco a dormire. Questo scritto, in ricordo del mio fedele e simpatico cane, è stato composto il 18 novembre 2007 dalle ore 4 alle ore 5,30 di notte. Amateli, gli animali!
Renato Volpi
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