La politica è cosa terrena e i preti non dovrebbero occuparsene. Se ne sono occupati sempre, fin dai tempi degli Egiziani (Akhenaton ne sa qualcosa) e i Gesuiti non facevano eccezione. La politica presuppone chiarezza di idee e i Gesuiti pensavano di averle estremamente chiare; non era così.
L’Europa, scenario di nuove idee e movimenti di pensiero come illuminismo e positivismo, che ormai attecchivano ovunque nonostante diversi tentativi di restaurazione, diventata teatro di aspirazioni nazionalistiche che davano vita o prefiguravano la nascita di nuovi stati, non somigliava più all’immagine tradizionale che aveva incarnato per secoli. Era diversa l’Europa e inscenava rappresentazioni inusuali. La modernità viaggiava le sue strade e faceva sentire la propria voce nelle capitali, a volte perfino nelle campagne, dove moti di scontento preavvisavano futuri sconvolgimenti. La politica tentava di capire quei fenomeni, a volte dominarli, a volte assecondarli, comunque indirizzarli. Non volgeva le spalle, tranne che nella Grande Russia e a Roma, dove il Papa faceva il Papa e i Gesuiti serravano occhi e orecchie. Interessati unicamente a mantenere l’ordine costituito, anche con esercizio di spietatezza, dediti innanzi tutto alla salvaguardia della tradizione e dei valori vecchi che tramandava, i Gesuiti negavano il mondo e volevano mantenerlo nella trascendenza. Il Papa era la loro ossessione; con lui Roma e ciò che entrambi incarnavano. Il Papa, inteso come Papato, andava salvato a ogni costo dalle minacce mondane di Stati senza Dio; Roma in quanto Soglio di Pietro e, per ciò, casa di Dio.
L’idea era che entrambi dovessero subire oltraggio: il Papa costretto alla fuga come unica via di salvezza, Roma tramite occupazione. Questo avrebbe scosso le coscienze dell’Europa cristiana che mai avrebbe consentito tanto orrore e si sarebbero immediatamente mobilitate per spazzar via l’eresia blasfema degli Italiani. Solo che l’Europa pensava ad altro; l’Austria ai territori perduti e ai segni di cedimento di un impero obsoleto; la Prussia, per altro protestante, a unificare in senso nazionale principati medioevali ormai non più mantenibili; la Francia a rimpiangere la breve grandezza napoleonica e a tenere a bada le idee rivoluzionarie che a Parigi avevano messo solide radici, oltre che difendersi dalle aggressive politiche tedesche; l’Inghilterra a controllare tutti e a tessere fili diplomatici di scarsa inventiva e consistenza. Tutto questo per i Gesuiti non esisteva. Vedevano quello che vedevano e quello che vedevano era poco. Cullavano, pertanto, trame irrealistiche, consigliando al Papa fughe visionarie a Viterbo, Civitavecchia, Gaeta, nella stessa Francia o dove capitasse. Consigliavano anatemi, scomuniche, lagnanze, comunque condizioni passive, nulla di realisticamente fattivo. Allucinavano anticristi e restaurazioni, martiri e trionfi universali in cui la Chiesa avrebbe svettato eterna. Dove? Naturalmente a Roma. Ossessionavano il Papa con progetti fumosi e privi di chiarezza, rappresentando in tal modo la sua personalissima ossessione. Incapace di risoluzioni concrete, Pio IX prestava orecchie a parole ventose e nel frattempo non faceva niente. Prendeva congedo dai Francesi, pubblicava encicliche, ma di concreto non faceva niente. Era ossessionato, Pio IX, e la sua ossessione, come tutte le ossessioni, trasfigurava il reale.
Condizionato dalle politiche irrealistiche dei Gesuiti, tradito dalla realtà dell’abbandono francese, sperduto in una città silente assediata dal fragore della storia, Pio IX era vittima della sua ossessione più autentica: la realtà. Era la realtà che ossessionava Pio IX, la realtà della storia che lui si rifiutava di cogliere. Rifiutando di confrontarsi con la realtà, Pio IX si rifugiava nel passato al quale chiedeva improbabili soccorsi. Il presente non era praticabile per lui, in quanto rappresentava unicamente una specie di incubo, mentre il futuro non esisteva, non poteva neppure immaginarlo; se lo avesse fatto, avrebbe visto solo un vuoto. Ossessionato dalla fine, allora; la fine di una storia. Non della storia, ma di una storia che lui assolutizzava, scambiandola per l’unica storia possibile, senza capire che si trattava di una storia ambigua, una storia che negava la storia in quanto tentativo di storicizzare quel che storia non è: la trascendenza.
La realtà era altra e portava cambiamenti cui Pio IX avrebbe dovuto adattarsi, con i quali avrebbe dovuto patteggiare, tentando di adeguare una realtà molto diversa a quella che lui rappresentava, proponendo dunque sintesi di realtà apparentemente contrarie, ma comunque sintesi possibile. Questo non accadde e Roma divenne scenario di sordità assolute.
(Tratto da "C'era una volta Roma")