Mi ha lasciato sbigottito quanto dichiarato – forse in preda ad un momentaneo delirio d’onnipotenza – il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro.
Concesse le attenuanti generiche, mi sembra che lo stesso abbia in fondo rivelato un sentimento che sempre più spesso sembra emergere in coloro che esercitano una forma di potere sul prossimo: dalle forze dell’ordine ai medici, dai preti ai docenti (specie quelli universitari…).
L’impressione è che in verità non di rado essi avvertano “l’intima gioia nel non lasciare respirare” coloro che dai loro “servizi professionali” in qualche modo, per un dato momento esistenziale, dipendono.
Purtroppo credo che il potere generi spesso “mostri” i quali agiscono per lo più nel modo seguente: se sei stupido ti umilieranno, se sei saggio ti odieranno, se sei bello ti uccideranno… Non resta che guardarsi dalla maggioranza degli uomini: essi sono ciechi di rabbia per essere nati mostri, per non essere stati capaci di farsi amare e d’amarsi.
La figura del prepotente arrabbiato, che genera distruzione sociale, va contrapposta a quella del poeta (e di ogni artista), che genera al contrario armonia sociale. La poesia, intesa come quintessenza di bellezza, tiene ancora accesa una speranza in questo scorcio di nuovo millennio sedicente civile. Un aberrante periodo neo-medioevo che è stato determinato probabilmente dall’invasione violenta della tecnologia che ha non poco sconvolto il sentire individuale e collettivo. I mutamenti sono stati e continuano a essere troppo rapidi, non permettendo alle persone il fisiologico adattamento agli stessi. Si spiegano certamente anche così i troppi femminicidi, omicidi in genere, e l’ondata di violenza senza precedenti che si percepisce nel mondo. Un mondo di esseri viventi che desiderano ciò che vedono quotidianamente, e che sembrerebbe essere a portata di mano, attraverso social network e video di ogni tipo, ma che poi non riescono a controllare l’esasperato senso di possesso e di impotenza che ne deriva, così come il profondo disagio esistenziale.
Le “persistenze” delle abitudini, tipiche nei costumi della razza umana, hanno subìto un colpo troppo profondo per non creare uno tsunami di conseguenze difficili da gestire.
Tra l’atro è chiaro che la tecnologia sconvolge la percezione naturale delle cose, avendo dato corpo ad un mondo fasullo che non è quello della natura o – per i credenti – di Dio (fino all’intelligenza artificiale…).
Come si può uscire da tutto questo? Credo che l’unica risposta possibile sia lavorare per una tecnologia esclusivamente funzionale alla Terra e non atta ad appagare gli istinti primari dei suoi abitanti. Queste pratiche inoltre hanno fatto sì, ad esempio, che oggi valga più un bel volto che un titolo accademico al fine di generare guadagno. Un influencer (che parola detestabile) ha più followers del maggiore dei poeti o degli scrittori viventi. Questo fa capire molto e ci suggerisce, senza mezzi termini, che se non aggiustiamo presto il tiro, sacrificando anche qualche investimento o guadagno nel nome dell’educazione sociale, ci ritroveremo sempre più allo sbando (abbiamo già un’Istruzione e una Sanità sull’orlo del precipizio, come mai in precedenza).
Fare finta di non vedere tutto ciò e continuare a non empatizzare con il prossimo (concetto centrale nei propositi della Scuola Empatica, il nostro Movimento artistico-culturale) non ci porterà da nessuna parte, se non in un baratro senza appigli, poiché chi va a letto per dimenticare le sue paure è atteso dagli incubi.
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