Pubblicato il 13/11/2015 18:21:27
Il cardigan di Kurt Cobain
Voghiamo affamati nel giorno pigiando i nostri remi ferventi sullo schermo della nostra immagine, contenendo il dolore della segregazione con l’onnipotenza della pubblica opinione.
Voghiamo come nutrie elettriche scaviamo i margini dei fossati sabotiamo gli argini medievali ci adagiamo sulle labbra digitali nel conforto tecnologico della resa.
Ci sentiamo intelligenti, perfino tolleranti ora che ci hanno insegnato che la diversità crea prodotti migliori, che la condivisione è una questione di principio e impone il romitaggio dello sguardo.
Indossiamo la nostra arroganza in modo informale, incollando la nostra allegria a tutte le insegne finendo da soli a torchiare la sera del pianto.
Bisogna percorrere ogni frontiera assorbire ogni ribelle, guadagnare su ogni refolo di vento che prova a latrare il suo canto contrario. Sopra il letto dei talentuosi campeggia il poster di un ceo assertivo e tutto continua ad essere battuto all’asta, l’ultima cena congelata del poeta i sacri oggetti degli indiani Hopi il cardigan di Kurt Cobain. E’ un potere folle che incorpora la speranza e il nichilismo, la fede e la lotta, la poesia e l’offesa, è un potere che affida lo stato delle anime ai manager spirituali, ai serafici reverendi dell’autostima.
Ci vuole molto coraggio per vogare in senso sbieco, senza scartare nella nostalgia di un bugiardo mondo arcaico senza confondersi nello scroscio della distrazione, aggrappati alla vastità di un’espansione che si flette nel mistero di una vertigine amorosa, di una scheggia da cui si eleva il rebetiko del cuore
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