Pubblicato il 27/02/2017 15:44:03
Finì sul molo del porto. Rimase a guardare a lungo le distese vaporose che ondeggiavano calme davanti a se. I richiami stridenti e acuti dei gabbiani spezzavano l’aria. Li cercò con lo sguardo, strizzando gli occhi per l’eccesso di luce. Il cielo brillava basso, si rifletteva bianco sull’ acqua. Le palpebre bruciavano secche. Con lo sguardo fisso alzò la mano per proteggersi dall’invadenza della luce. I gabbiani erano tanti, tantissimi, uno stuolo intero. Rocco riuscì a cogliere il movimento lento delle ali larghi che come lame appuntite ed efficiente intagliavano le nuvole. Piccole macchie candide che sfrecciavano libere. Superbe. Una vaga nota di rimpianto lo fece sussultare. Inseguì a lungo le scie del volo con lo sguardo. Ogni tanto un gabbiano si staccava veloce dal corpo vibrante della sua famiglia e si tufava a picco nel mare. Scompariva senza traccia fra le onde e l’uomo con il fiato sospeso batteva le palpebre dentro lo stupore, forse non aveva visto bene, forse era soltanto una briciola di luce staccatasi dal sole. Ma come per smentirlo il gabbiano riemergeva sulla cresta schiumosa di un’onda e restava lì a galleggiare perfettamente al proprio agio. Allora l’uomo si rallegrava, riprendeva il respiro e con la mano alta segnava saluti dentro l’aria per non sentire il freddo immobile della sua solitudine. Nella sua testa tutto si mescolava in sbuffate aride. Frantumi di sogni abbandonati, ormai inutili, svuotati di senso. Scaglie di ruggine friabile come il tempo che non gli aveva perdonato niente.
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