Pubblicato il 06/11/2015 20:38:07
Tredici anni di cuore
Fu nell’eremo della notte nell’ustione dell’iride insonne che iniziai a perlustrare i sobborghi carcerari della memoria.
Andavo alle medie e il lutto più grave mi aveva sbalzato dal paradiso dell’infanzia all’indigenza delle ali infeltrite. Miscellanee di nuvole nere erano planate sulla gomena del mio respiro, torchiando a dismisura i testimoni della mia anima estiva.
Ricordo il costante fruscio della televisione, la sigla finale di Derrick, i rimbombi delle guerre balcaniche le telecronache sportive risalire le scale, contagiare le mie guance contorte sul cuscino. Ricordo come tutto nuotava in modo maldestro e come chiedesse smisurata attenzione al mio cuore di pugile guercio.
Fu allora, in quelle notti di furibondi inseguimenti, pedinamenti, imboscate, in quelle notti di agguati ed estorsioni, che provai a ricucire il peso dello strappo con stormi di sdrucite preghiere, con voli meno stringenti, più estesi, fino a toccare una strana radura, dove il dolore si scioglieva e foglie e tosse e pianto e sonno e strazio e tregua, si tenevano insieme avvinti a una lingua più antica del silenzio che non sapevo attutire. E allora mi addormentavo e il piccolo crocefisso di legno mi cadeva dalla mano e la foto di mia madre ad Atene e lo scafo dolce di mio padre sprofondato sul divano spaiato e la pila di Dylan Dog accanto al letto e la collezione di soldatini e l’apotema del triangolo isoscele e l’ascella sensuale della mia compagna di banco familiarizzavano e si disponevano attorno a quel sentimento di un insieme infinito cresciutomi in petto come un pulcino, come un mozzicone d’incendio venuto a placare il buio indecente,
come un chiarore innestato sul fiato del mondo che solo compensa il furto con scasso.
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