Quando si trovano le chiavi di lettura corrette per cercare di capire e interpretare la storia, quando ci si addentra nel profondo dell'insieme di ragioni, di percezioni, di memorie che determinano i comportamenti umani, politici, sociali, individuali, intimi, non occorre scagliarsi con rabbia contro le cose. E soprattutto, gli equivoci, le ambiguità, prendono la chiarezza di immagini nitide come i paesaggi fisici, umani e spirituali di questo originalissimo e bel libro di Gian Maria Turi.
Darshana de Malchut è una riflessione molto sofisticata, poetica, intima, spirituale e profonda che offre attraverso un percorso autobiografico in parte vissuto in parte immaginato, una prospettiva nuova e diversa anche sulla Shoah: da un lato per comprendere, dall'altro per evidenziare l'uso in senso politico e strumentale, ormai storicizzato, di una ferita immane ricevuta, tenendo vivo a vita il senso di colpa nel resto dell'umanità e nello stesso popolo ebraico.
La delicatezza e la chiave originale della storia (o meglio delle storie) che in questo libro si narrano, possono portare anche i più integralisti a riflettere sulla necessità di porre fine ad una rivendicazione che, oltre ad avere un senso storico controverso, sottrae valore a tutti i genocidi che si sono succeduti nella storia recente da lì in poi. Invita all'atto di generosità della rinuncia al ruolo di “più penalizzati dalla storia”.
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