Pubblicato il 26/01/2013 17:09:22
“La battuta perfetta” di Carlo De Amicis, Minimun fax
Si può scrivere la storia di un secolo, il ‘900, come se fosse quella di un intero millennio, quello appena passato per l’appunto, soltanto attenendosi ai “fatti” descritti in questo libro che pure è di grande attualità, se non addirittura futuribile, per ciò che siamo stati, che siamo, e che forse ancora saremo quando, con un pizzico di retrospettiva, gli “alieni” che verranno, affronteranno queste pagine scritte con sarcasmo. Soprattutto per quello speciale dileggio che è proprio dell’autore, di chi inneggia alla vita quasi per gioco, ben sapendo che di gioco non si tratta, piuttosto è causticità allo stato puro, dovuto per lo più al contatto umano con le centinaia di persone che gli offrono l’occasione per “ridere” di se stesse e degli altri, anche quando le cose non vanno poi così bene. Perché di fondo, sono (siamo e sappiamo) essere ridicoli, o quantomeno bizzarri, assurdi e stravaganti, in quanto comici. Ancor più scaturito dal fatto di “vivere dal di dentro”, (e l’autore lo vive ogni giorno direttamente) un media come la TV, che è diverso dall’utilizzarlo e usufruirne standogli di fronte, anche se, allo stesso modo, non cessa di farci sorridere, arrabbiare, infervorare, ansimare e quant’altro, in quanto comunicazione stentorea e asettica (impersonale) dove quasi sempre c’è un inizio e mai una fine. Dove numerosi “volti” e “personaggi” sono inventati a bella posta e quasi mai reali, neppure quelli che prendono parte ai cosiddetti reality show. Inutile dire che viviamo in un mondo di finzione, e non solo all’interno del media che Carlo D’Amicis scandaglia con fare appropriato e sicuro, tipico di chi le cose le conosce non solo per essersi documentato, bensì conoscendo i protagonisti, vecchi e nuovi, ancora in auge sul teleschermo o scomparsi perché passati a miglior vita. Ancor più per aver vissuto sulla propria pelle l’avvento di un mezzo che ha sconvolto gli usi e i costumi di intere generazioni traghettandole nella modernità. Quindi si immagini lo “spavento”, quello si che era reale, come reale infine è la struttura portante di questo romanzo decisamente “biografico” che in qualche modo ci riguarda (e riguarda l’autore) più che mai da vicino, che anzi direi da “dentro”. Soprattutto che suggestiona e condiziona le nostre emozioni, le nostre vicende quotidiane, il nostro essere così spaventosamente grotteschi, utilizzatori ora attivi ora passivi di una “macchina” ritenuta infernale che con le sue “battute perfette” o imperfette che dir si voglia, nulla concede all’interlocutorio, non pretende alcuna risposta, il cui “parlare” può dirsi compiuto, assoluto.
Nota elettiva:
Una scrittura veloce con inserimenti dialettali gradevoli come aforismi, che sembrano pietre “perfette” scagliate contro l’incompiutezza della nostra esistenza.
Nota critica:
Un inizio difficile, segnato da una cadenza marziale, superato il quale la pagina si apre al riso e la parola incomincia a scorrere con qualche brusca frenata e qualche digressione non necessaria.
Passaggi: Laggiù, dall’altra parte della collina, l’uomo ha appena detto qualcosa. Trattandosi di Canio Spinato, è inevitabile pensare a una battuta. Se sia davvero divertente nemmeno Cristo lo sa. Ma evidentemente è perfetta, perché, da quella discarica di mondo, come un detrito che si stacca dal cuore, sulla straziante e meravigliosa bellezza del creato frana un’ultima, corale, definitiva risata.
Accostamenti letterari: Joyce Carol Oates per la scrittura creativa rivelata nelle sue short stories: “Tu non mi conosci”; Michael Faber di “Una torma di donne…”; David Leavitt di “Ballo di famiglia”; Raymond Queneau di “Zazie nel metrò”.
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