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Maria Teresa Liuzzo .L’ombra affamata dells madre Romanzo

Argomento: Letteratura

di Raffaele Piazza
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Pubblicato il 29/11/2023 15:32:40

Maria Teresa Liuzzo – L’ombra affamata della madre

A.G.A, R. Editrice – Reggio Calabria – 2022 – pag.139

 

 

         Maria Teresa Liuzzo, l’autrice del romanzo che prendiamo in considerazione in questa sede, è nata a Saline di Montebello e risiede a Reggio Calabria (Italia).

         È presidente dell’Associazione Lirico-Drammatica “P. Benintende”, giornalista, editore, Direttore Responsabile Rivista Letteraria “Le Muse”, scrittrice, Dr. in psicologia, Leibnitz University Santa Fe, New Messico, USA, prof. filosofia e lettere moderne, USA, corrispondente de: “Il ponte italo – americano” – USA, Nuova Corvina, Europa (Hinedoara).

         L’ombra affamata della madre è il terzo romanzo della fortunata trilogia di Maria Teresa Liuzzo che comprende, oltre al volume suddetto, gli altri libri…E adesso parlo!  e Non dirmi che ho amato il vento.

         I tre volumi hanno come filo rosso che li collega il personaggio della protagonista Mary con le sue tribolatissime vicende e si può parlare a questo proposito di una vera e propria saga di Mary.

         Come i libri che l’hanno preceduto anche questo è scritto in terza persona e presenta un’introduzione di Mauro D’Castelli coltissima, esauriente e ricca di acribia e citazioni nel cogliere acutamente e in profondità gli aspetti della vicenda con grande maestria.

         Costante in tutti e tre i volumi la presenza del personaggio Raf, creatura dalla vaga essenza angelica, amico di Mary e conforto nella sua vita.

         E nella sua esistenza la nostra eroina subisce delle vere e proprie persecuzioni vivendo terribili situazioni senza mai perdere la speranza della vittoria sulle tragiche circostanze.

         Anche Mary stessa negli struggenti colloqui con Raf lo incoraggia e tra loro si stabilisce un rapporto simile ad una relazione basata sull’erotismo mistico e la comunione delle anime.

         In tale rapporto i due sono fuori dal tempo e dallo spazio e in una dimensione di struggimento emotivo e non a caso nel secondo capitolo intitolato Era passata la vita l’autrice scrive che il loro pianto si confondeva con la pioggia.

         La stessa Mary è poetessa come la Liuzzo stessa e potrebbe essere considerata il suo alter ego secondo il celebre detto di Flaubert la signora Bovary sono io, che sta ad indicare che si è sempre quello di cui si scrive, e tuttavia si deve essere cauti in questa affermazione forse troppo generica.

         Elemento fondante per entrare nel merito della comprensione del senso profondo dell’opera è quello di sottolineare che in essa l’autrice realizza una nuova tipologia di scrittura non ispirata da nessuno, che sgorga come acqua di sorgente e automatica come se vivesse una trance incarnandosi nelle vicende. 

         Nell’introduzione ritroviamo una riflessione sul tempo che parte dall’assunto del poeta Sandburg: il passato è un occhio di cenere e rimanervi incatenati uccide il nostro futuro, riflessione che inevitabilmente si riferisce alla storia di Mary, ma che si potrebbe riferire anche ad altri vissuti.

         Ci si chiede a questo punto quale sia il ruolo del presente, l’attimo heidegeriano, quell’intercapedine tra passato e futuro perché il passato può riattualizzarsi affiorando dall’inconscio con un effetto negativo.

         Viene in mente che nella scrittura veterotestamentaria è detto che non si deve farsi affascinare dal passato e di non guardare né a destra né a sinistra ma guardare avanti.

         Si deve tenere presente che si sta facendo qualcosa di nuovo. per realizzarsi con saggezza nel cammino della vita e pare che Mary faccia tesoro di questo insegnamento nell’affrontare stoicamente le difficoltà.

         Tuttavia dal passato personale e privato, come da quello storico, bisogna trarre la famosa lezione per non ripetere gli stessi errori che spesso sono stati inevitabili per la natura stessa dell’essere umano.

         Nella diegesi il passato stesso diviene fondante nella fusione della provenienza di Mary con il presente e il futuro.

         Tutto è sotteso da parte della protagonista alla ricerca della sua identità e della sua salvezza che coincidono con l’aiuto della poesia e di Dio, categorie che sono in intima relazione tra loro. 

         Ogni singola parola che incontriamo nel romanzo in interazione con le altre è precisa e si crea un’armonica polifonia e questo fa parte della nuova scrittura suddetta nella densità stessa delle parole se nella Bibbia è scritto anche che non ci sarà parola detta (ma si potrebbe aggiungere anche scritta) che sarà senza effetto.

         Non a caso la scrittura di Maria Teresa Liuzzo è di natura mistica e profetica, di denuncia sociale e si muove contemporaneamente su tre livelli di percezione (Peter Russel).

         Ciò si evince anche da questo suo ultimo romanzo “L’ombra affamata della madre” che nella non facile descrizione anticipa la guerra (quindi la Storia) e descrive il particolare della donna incinta che fa rabbrividire per la sconvolgente esposizione.

         Ogni parte è mondo e non è necessario il luogo geografico dove l’atto oltraggioso fa da padrone.

         La trama sembra surreale come i personaggi magistralmente descritti.

         Scopriamo che la storia di Mary è simile a quella di Blanche Monnier tenuta segregata in casa dalla madre e dal fratello per 25 anni (il padre era morto da poco).

         Questo crimine voluto dalla famiglia era per evitare che Blanche sposasse un uomo benestante con molti più anni di lei, del quale era innamorata.

         La giovane si spense all’età di 64 anni nella più sconcertante solitudine. Così la trovò la Polizia dell’epoca essendo ormai ridotta a uno scheletro, coperta di escrementi e sporcizia di ogni genere.

         A nulla servirono le cure prestate dai sanitari: la sua mente l’aveva abbandonata giungendo prima della morte.

         Ma il trauma è un marchio a fuoco e da quelle “prigioni” si esce soltanto da morti.

         Blanche come Mary aveva avuto in comune un certo tipo di madre: una belva che prima accarezza e poi sbrana.

         Blanche fu rinchiusa e poi segregata come Mary a 24 anni, nel 1877. Mary provò le bastonate, sberle, calci, pugni e bacchette spezzate sul suo esile corpo a soli 5 anni.

         A sedici tentò il suicidio per la prima volta e la seconda volta a 19 anni. Neanche lei si doveva sposare ma lo scopo era diverso (doveva finire nelle grinfie del padre d’accordo con la megera madre).

         E pensare che Mary scansò anche i proiettili quando il padre le sparò. Era il giorno del suo compleanno.

         Le madri delle due giovani donne o meglio “deportate” incarnavano le Gorgone, ma il cammino delle due ragazze aveva una denominazione diversa.

         Blanche era in balia della madre e di qualche parente stretto, mentre Mary era in balia di tutta la famiglia d’origine e dell’intero villaggio commisto con le “imprese” della famiglia dalla quale ricavava enormi benefici,

         Anche la madre di Mary voleva farla passare per pazza col terrore che la figlia potesse rivelare segreti oscuri, ma sappiamo che la follia rimane tale solo se resta emarginata. Fu per questo che la mente di Blanche cedette, ancora prima del suo corpo.

         Mary reagì seppur bambina attraverso la Fede e la scrittura che furono antidoto per la sua Resurrezione.

         Dopo circa un secolo e mezzo sembra che l’anima dell’una si sia incarnata nell’altra, almeno simbolicamente o per comodità di linguaggio.

         Mary pur con il corpo martoriato, pieno di ecchimosi e fratture ai polsi per essere stata a lungo legata e trascinata, bastonata e fatta mettere in ginocchio per chiedere perdono ai suoi carnefici e con la schiena curva per essere stata costretta “ad accucciarsi” come un cane in un angolo buio e tetro trovò una forza sovrumana di reagire animando anche le cose morte intorno a sé, dando un corpo e un’anima. Così visse in trance episodi censurabili anche relativi a Blanche.

         Queste due madri così perfide e simili negli intrighi, complici nella loro belvinità si comportarono da sadiche per anni.

         Si continua a parlare di Giuda e ci dimentichiamo che anche Gesù Cristo fu tradito da San Pietro.

         Mary trasse la vita dalla morte che chiamò “Madre Oscura” e proprio da quell’oscurità ricevette la “Luce”. “Più crepe mi fate, più luce mi entra”, scriveva Mary ai suoi aguzzini.

         Le donne sono molto più dure degli uomini, sotto la superficie. Chiamare le donne il sesso debole è una solenne sciocchezza (Carl Gustav Jung). Una scrittura nuova quella della Liuzzo, che bisogna sapere interpretare e approfondire. Tra letterati e non la Liuzzo è “l’agnello sacrificale” (Antonio Catalfamo Le Muse dicembre 2021).

         Come Pasolini la scrittura della Liuzzo fa perdere il sonno ed è quindi scomoda a qualcuno?  Rimarranno con l’amaro in bocca perché lo spirito della VERITA’ non può essere processato né la parola essere interdetta (Raffaele Piazza).           

         Perché il titolo L’ombra affamata della madre? Effettivamente c’è in questo nominare qualcosa d’inquietante e c’è da notare che viene detto madre e non mamma, forse per non dire matrigna.

         L’ombra in sé stessa è il contrario della luce e nella sinestesia ombra affamata si coglie il pathos di una situazione non risolta nel bene naturale che hanno le madri per i figli ma che invece sfocia nel male, nel disamore e nel demoniaco.

         La prosa della Liuzzo è complessa e intellettualistica nella sua apparente linearità e il fortunato lettore ha l’impressione di affondare nella pagina.

         Costante è un’atmosfera di reverie, di sogno ad occhi aperti e scrive l’autrice che Mary chiudeva gli occhi per non alterare le distanze temporali o infrangere l’attimo creativo.

         Si ha l’impressione nella lettura frequentemente di trovarci di fronte a espressioni che potrebbero essere definite di prosa poetica e non mancano passaggi che sfiorano la linearità dell’incanto.

         Pare di riscontrare un fattore x in questa prosa elemento che dà magia e vaghezza al contesto che si rivela più surreale che realistico e connotato dallo stile neo orfico che attraverso il dono del turbamento si riconsegna al trepido lettore.

         Globalmente il testo rimanda ad atmosfere di onirismo purgatoriale e nelle prime pagine del primo capitolo intitolato L’argilla di una ferita antica ritroviamo Mary con in braccio il suo bambino inserita in uno scenario apocalittico di guerra sullo sfondo di una tetra natura di alberi inquietanti.

         La stessa Mary assume una tipologia cristologica quando viene detto che potrebbe essere crocifissa ad un albero. 

         Sono centrali gli slittamenti temporali come quando nel terzo capitolo la Liuzzo scrive che Mary tornava bambina come una lucida lucertola al sole.

         Lo stesso nome della protagonista Mary presumibilmente è stato scelto per un riferimento alla Madonna che si chiama Maria e come Mary ha sofferto atrocemente anche se per altri motivi.

         È interessante che la Liuzzo abbia chiamato il suo personaggio con la denominazione inglese o americana e la ragione di questa scelta potrebbe riscontrarsi nella ricerca, nel consapevole tentativo riuscito di accrescere il suo carisma e il suo mistero.

         Anche il tema della metamorfosi è accennato come quando è detto che la donna era un fiore in solitario nel vento e schiuso tra le onde dell’etere.

         Nel tredicesimo capitolo, quello eponimo, si apre uno dei vari spiragli di redenzione nella vita di Mary quando Maria Teresa scrive che il tempo in maschera – allegoria eccessiva e però misericordiosa – bussò alla memoria e subito un periodo lontano decenni fu davanti agli occhi si Mary.

         Il lettore resta ammaliato dalla parola prodotta dalla Liuzzo detta sempre con immensa urgenza e fluttuante come onde del mare che affiorano da un inconscio controllato e si fanno espressione dello scavo in un’anima che non si arrende e proprio l’atto stesso dello scrivere salva e molti potrebbero identificarsi in Mary.

         La scrittura sembra essere espressa come dettata da una voce di conchiglia da portare all’orecchio per la sua naturalezza che raggiunge esiti altissimi e unici.

         Una parola per giungere alla chiave interpretativa dell’intero romanzo è sospensione, una forza prodotta senza sforzo dalla scrittura della Liuzzo che affascina e intriga e tra i protagonisti in modo incontrovertibile pare esserci la lotta del bene contro il male.

         La tensione si gioca proprio nella capacità di Mary di rimanere attaccata alla vita nonostante tutto e come scrive l’autrice l’amore le apriva l’anima e le aumentava il respiro.

         Tutto è pervaso da una vaga e numinosa bellezza in questo libro e si può dire che la Liuzzo abbia inventato un genere letterario con genialità e forse altri scrittori, assimilando la sua lezione, produrranno opere ispirate dalla trilogia di Mary.

 

         Raffaele Piazza


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